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Il fenomeno delle minorenni ambientaliste: non sanno nulla ma hanno già capito che apparire è l’unica cosa che conta

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Giuro che non ci si crede. Un servizio di telegiornale su Anuna e Kyra, queste due da pubblicità delle merendine, del tipo belloccio odioso, la spocchia di chi si sente nata per i media, e dietro migliaia di controfigure coetanee all’insegna dell’ambientalismo adolescenziale. “Avremo perso un giorno di scuola, ma che sarà mai di fronte al futuro del pianeta?”. E glielo fanno dire, e le prendono sul serio: che vuoi fare da grande? “Mah, la segretaria alle Nazioni Unite”. Dato il livello, potrebbero benissimo arrivarci. E da tre settimane ogni giovedì sciamano in piazza a stamburare e cantare, a “sensibilizzare” per il futuro del pianeta. Giuro che non ci si crede: non bastava la svedese quindicenne a sproloquiare. Dato il successo mediatico, nel Paese di sorriso d’oro Verhofstadt, nel Belgio islamizzato debbono essersi detti: ma sì, proviamoci anche noi, qualcosa da esportare la troviamo. Chi hanno dietro queste Barbie ecologiste, queste pupazzette verdi? Se lo è chiesto anche la ministra dell’ambiente e la reazione è stata rabbiosa, lei costretta alle dimissioni, a scusarsi e invece la sua domanda era l’unica cosa giusta in questa storia, non essendo nella razionalità umana che questi imberbi fannulloni del giovedì si coagulino spontaneamente “per difendere la terra”. Totalmente digiuni, come è ovvio, di qualsiasi nozione elementare, già così corrosi, corrotti dal demone dell’esibizionismo e della demagogia balorda. Ha detto il sindaco di Anversa, Bart De Wever, uno che ancora si ostina a difendere, non si sa per quanto, la dignità del ruolo e della persona pensante:

“I giovani non dovrebbero credere nelle storie apocalittiche sull’ambiente per chiedere cambiamenti all’umanità che non siano realistici. I giovani devono avere fiducia nel futuro e nel potere dell’innovazione, e se guardano al passato, vedranno che l’umanità ha sempre avuto grandi problemi e abbiamo sempre trovato soluzioni attraverso l’innovazione, spetta alla generazione dei giovani seguire matematica, fisica… a scuola e le nostre soluzioni per aiutarti, le soluzioni arriveranno, dobbiamo metterci le spalle sotto”.

Parole di saggezza, come tali buttate al vento.

I fanciulloni e fanciulline belgi, più generalmente europei, più genericamente occidentali, di studiare, di capire non hanno nessuna voglia, nessuna pazienza: quello che gli preme è la visibilità, come si dice, tutta e subito, a qualunque prezzo, anche vendersi alle istanze più cialtronesche della sinistra militante, anche al costo di ridursi a un esercito di venditori di sole, di alghe e di fumo per conto terzi. Non sanno e non vogliono sapere, anzi si tengono accuratamente alla larga da qualsiasi presa d’atto che rischia d’incrinare il muro di gomma del qualunquismo, dello sloganismo vuoto, del pentolame in piazza, della preoccupazione millantata. In compenso hanno capito una cosa fondamentale, che nella società post valoriale tutto quello che conta è esporsi, uscire dal ruolo gregario, puntare in alto.

Così la insopportabile e a suo modo patetica Alexandria Ocasio Cortez, una che in America pretende di sfidare Trump alternando demenziali ricette socioeconomiche con fotografie dei suoi piedi e delle sue creme di bellezza. Un fenomeno da Instagram, una influencer virata alla politica ludica e vagamente erotizzante.
Non sanno nulla, non valgono nulla: fanno bene a puntare tutto su loro stesse, nell’eterno gioco delle tre carte di ogni nullità. La Cortez, idolo dei feticisti, alla Casa Bianca; le suffragette del Belgio all’Onu; Greta a 15 anni l’hanno già trasportata, in aereo, a Davos dove hanno fatto finta di ascoltarla. Poi durano quello che durano, come l’energia solare di notte, ma coi cascami della notorietà possono campare di rendita nell’informazione, nell’intrattenimento, per dire quella terra di tutti e di nessuno conosciuta come “comunicazione”.

Queste ambientaliste ibride a metà fra Giovanne d’Arco e Wanna Marchi sono, appena possono, delle viaggiatrici compulsive, capacissime di utilizzare in poche ore lo spettro completo dei mezzi che vorrebbero abolire: zompano su un treno ad alta velocità, ne discendono per infilarsi al volo in un’automobile, la lasciano all’aeroporto per saltare su un aviogetto; e ritorno. È dura la vita dell’ambientalista inquinatore, ricorda quella delle star hollywoodiane come Leonardo di Caprio che tiene conferenze a giro sul jet privato, o del gruppo rock Pearl Jam che ad ogni tour mondiale, sempre sull’aereo aziendale, si candeggiano la coscienza con l’elemosina di centomila euro per “rimediare all’inquinamento globale”. Ovvero quello prodotto da questi Savonarola o Giovanne d’Arco per Gea. attivisti pro domo propria ai quali del pianeta importerà sempre e solo in funzione di palcoscenico per la loro vanità.

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