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La frattura Nord-Sud mai così profonda e il circolo vizioso dello statalismo

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Alla storia il Corriere della Sera ha dato volti e voci, riprendendo il viaggio di centinaia di ragazzi che salgono a bordo di un pullman e attraversano l’Italia, da sud a nord, per cercare di essere uno dei pochissimi fortunati a vincere un concorso pubblico per infermieri (5.000 partecipanti per 5 posti), ma quanto raccontato nel video pubblicato lunedì è cosa risaputa e pure perversa. Non ha niente a che fare con una nazione che siede nel G8, che è membro del mercato comune più grande al mondo e che possa definirsi occidentale, raccogliendo sotto questo termine aspetti come innovazione, sviluppo economico e concorrenza, e che è rivolta al futuro.

Questi viaggi della speranza, effettuati a cottimo e ripetutamente, macinando chilometri di notte per arrivare a pelo all’apertura delle sessioni di selezione e quindi rientrare alla base una volta terminate, sono in realtà la disperazione in uno stato che, di volta in volta, dimostra i suoi molteplici fallimenti. Un cane che si morde la coda e al quale purtroppo non c’è alternativa, perché con il passare degli anni si è ramificato come un male che contagia tutto il corpo e non accetta alcuna cura se non quella proposta dallo stesso ammalato, nonostante i tentativi precedenti falliti miseramente.

Da troppe legislature l’emergenza Sud è rimasta tale: non bastano – anzi, non servono – i continui finanziamenti e interventi statali per rilanciare un’area geografica depressa se la macchina che li progetta è ormai malandata e fuori serie. Che non ci sia un progetto è sotto gli occhi di tutti, non vale nemmeno la pena di riproporre l’ennesimo triste censimento. A ciò si aggiungono altri due fattori che fanno il gioco di chi ha contribuito a provocare il dramma.

Il primo: l’idea che esista solo lo stato. Quindi se l’istruzione pubblica non funziona, non vuol dire che possa correre in aiuto un sistema privato: quante volte (troppe) abbiamo assistito alle manifestazioni indignate di sindacati di settore – e di alunni prontamente educati a farlo – che pestavano i piedi e bloccavano le lezioni per difendere il sacro fuoco del monopolio statale, sventolando articoli costituzionali e discorsi di Piero Calamandrei. E se, come nel caso in questione, la sanità pubblica è sull’orlo di un collasso (con operatori del 118 che operano a Partiva Iva), allora non è per forza detto che si possa lavorare per integrare meglio il settore privato, visto come covo di corrotti e approfittatori, di illegalità e corruzione. A leggere certe cronache giudiziarie, non è che quello statale sia molto diverso. Meglio l’immigrazione delle nuove generazioni di professionisti da un capo all’altro del paese, sulla falsa riga del fenomeno che ci riporta con la memoria agli Anni ’50 e ’60, quando il Nord si industrializzava e il Mezzogiorno rimaneva al palo.

Secondo aspetto. La lezione non è stata appresa dai legislatori e il popolo, a lungo andare, si è adirato, esprimendo il dissenso per un sistema malconcio (e quindi non più in grado di garantire lo status quo precedente a suon di fondi e casse e arruolamenti nell’esercito statale in cambio di un appoggio elettorale) lo scorso 4 marzo, con il successo nei collegi del Sud di un fenomeno apparentemente antisistema come il Movimento 5 Stelle, che si ripromette di cambiare la politica, ma non l’idea di stato dalla quale deriva la politica stessa. Il M5S, programma alla mano, non vuole fermare la produzione della macchina malandata e fuori serie, piuttosto spera di rimetterla in moto con provvedimenti interventisti in cui non si fanno accenni all’innovazione industriale, infrastrutturale e alla concorrenza interna, tra sistema statale e privato. Sono una pagina diversa di un grande romanzo popolare vergato dall’ideologia del dirigismo che continua ad affamare la bestia. La frattura tra Sud e Nord, stando così le cose, è irrimediabile.

Rappresentiamo, al Settentrione, la terra dell’opportunità per una nazione in depressione cronica. Siamo accoglienti, a differenza di come ci dipingono, e guardiamo avanti e fuori dai confini, cerchiamo uno slancio verso l’alto, come rappresentato idealmente dal recente restyling urbanistico di una città quale Milano. Ma con un peso enorme ai piedi o si ripiomba a terra o si arriva al punto di lasciarsi indietro chi fa da zavorra: vale a dire uno stato che, pretendendo di farla da padrone, ha finito per dividere la nazione.

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