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Fu vera competenza? Il ruolo di Draghi nelle privatizzazioni sotto la lente della Corte dei conti

Zuppa di Porro. rassegna stampa del 4 novembre

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Sta emergendo, sotto tutta la propaganda che denunciamo fin dal primo giorno, che Mario Draghi è più funzionale a certi ambienti di potere internazionale che vero “competente”. Lo scivolone commesso l’altro giorno, in conferenza stampa, sullo “psicologo di 35 anni che si vaccina saltando la fila” è una gaffe alla Biden, per giustificare maldestramente i ritardi della campagna vaccinale. Dire una sciocchezza del genere subito dopo aver imposto l’obbligo vaccinale a tutti i sanitari, psicologi compresi, è un sintomo di scarsa lucidità dell’italiano più eccellente al mondo. E allora sarà il caso di andarla a verificare la grande competenza di Draghi.

Iniziamo a farlo prendendo in esame una delle operazioni per le quali è più noto: le privatizzazioni delle grandi imprese pubbliche italiane iniziate negli anni ’90. In quel periodo, Draghi era direttore generale del Ministero del Tesoro e da quella postazione diresse tutto il processo di privatizzazione di Autostrade per l’Italia, Enel, Telecom e tante altre. Per la precisione, lui era a capo del Comitato di consulenza e garanzia delle privatizzazioni, cioè un organismo tecnico che aveva il compito di sovraintendere e indirizzare il lavoro delle tante società di consulenza e delle grandi banche di affari, come Goldman Sachs e Morgan Stanley, che svolgevano il ruolo di advisor. In sostanza, l’attuale premier era chiamato a coordinare il lavoro dei consulenti e a garantire che le aziende fossero valorizzate adeguatamente, così che lo Stato italiano potesse ricavare dal mercato il massimo possibile dalla vendita di questi colossi. Nel 2012, la Corte dei conti – massima giurisdizione contabile del Paese, dunque autorevole e tutt’altro che complottista – ha redatto una ponderosa relazione (158 pagine) sul ruolo svolto dal Comitato di consulenza e garanzia presieduto da Draghi nel processo di privatizzazione.

Ebbene, il Comitato di governance non esce tanto bene dalla disamina della Corte dei conti. Fra le tante pecche che vi si trovano elencate, mi limito a segnalarne due macroscopiche. La prima riguarda il giudizio che la Corte esprime a pagina 68 e che riproduco testualmente:

“In particolare, in alcuni dei casi esaminati (Telecom, Enel) si è avuta la conferma – già emersa nella relazione approvata dalla Corte con deliberazione n. 3 del 12 febbraio 2010 – di una tendenza del Comitato ad avvalorare il parere già espresso dai consulenti dell‘amministrazione, finendo coll‘assumere un ruolo quasi formale, senza svolgere sempre quella funzione incisiva di indirizzo che il quadro normativo gli attribuisce”.

Chiaro? Il super competente Draghi si limitava ad aderire in modo acritico a quanto le banche decidevano.

Seconda questione macro, in merito alla privatizzazione di Telecom, che la Corte dei conti rileva in quella relazione (pagina 39):

“Ne deriva che gli advisor di Telecom, nell‘ambito delle funzioni loro assegnate, avrebbero dovuto predisporre preventivamente alla privatizzazione una vera e propria due diligence consistente in un’attività multidisciplinare. In sintesi, una approfondita attività di valutazione preventiva avrebbe compiutamente potuto evidenziare l’effettiva situazione economica, finanziaria e patrimoniale degli asset, l’efficienza organizzativa e la qualità delle risorse immobiliari, consentendo di fornire i dati necessari per una ottimale valorizzazione del pacchetto azionario pubblico.”

Avete capito bene? Qui la Corte dei Conti ci dà un’informazione clamorosa: per privatizzare Telecom non è stata fatta un’adeguata due diligence. La due diligence (dall’inglese letterale: diligenza dovuta) significa appunto studiare a fondo tutti i punti di forza e di debolezza di un’azienda per valorizzarla al massimo possibile. Viene giustamente fatta sempre, anche per operazioni infinitamente meno importanti: se chiediamo un mutuo ad una banca, questa effettuerà una due diligence su di noi e sull’immobile che porteremo a garanzia, prima di erogarci il denaro. Incredibilmente, per Telecom questo non è stato fatto. Ma allora come è stato stabilito il giusto valore di questa azienda strategica, prima di porla sul mercato? Questa è competenza?

Si potrebbe andare avanti con altri esempi ma credo che la questione sia ormai sufficientemente chiara. Un’ultima cosa: visitate il sito italiano della grande banca d’affari Goldman Sachs. Qui troverete questa affermazione:

“Nei primi anni ’90 Goldman Sachs è stata fra le principali istituzioni finanziarie che hanno preso parte al primo programma di privatizzazioni del Paese. Tale programma ha compreso quotazioni ed operazioni di M&A (fusioni ed acquisizioni) aventi ad oggetto le principali istituzioni finanziarie, utility, compagnie petrolifere e società operanti nei settori delle telecomunicazioni e della difesa allora possedute dallo Stato italiano”.

Giustamente, nel presentarsi al pubblico italiano, Goldman Sachs offre come credenziale quella di essere fra le principali banche che hanno preso parte alle privatizzazioni italiane. Abbiamo appena visto come sono state condotte queste privatizzazioni. Mario Draghi ha presieduto il Comitato per la governance delle stesse (cioè sovrintendeva anche al lavoro di Goldman Sachs) dal 30 giugno 1993 al 20 aprile 2002. Lo stesso anno 2002, per la precisione il 28 gennaio, è stato assunto da Goldman Sachs con il ruolo di Vice Chairman e Managing Director per guidare le strategie europee dell’istituto dalla sede di Londra; dal 2004 al 2005 è stato membro del Comitato esecutivo del gruppo. Nessuno ha mai rilevato un conflitto di interesse in questo passaggio. Ma si sa, la competenza vince su tutto.

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