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È guerra agli estremisti islamici in Pakistan: la persecuzione dei cristiani, il caso Asia Bibi e la “Dichiarazione di Islambad”

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Nel 2019 il Pakistan deve “sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria”. Oltre 500 imam hanno firmato il 6 gennaio la “Dichiarazione di Islamabad”, un documento di condanna di qualsiasi violenza fatta in nome della religione e di solidarietà con le minoranze perseguitate. Articolata in sette punti, la Dichiarazione di Islamabad inizia con la condanna degli omicidi compiuti “con il pretesto della religione” sostenendo che “è contro gli insegnamenti dell’Islam”. Nessuno, afferma poi, sia esso musulmano o di altra fede, può meritare di essere ucciso in base a sentenze pronunciate al di fuori dei tribunali. Il riferimento è alle fatwa, gli editti di morte che gli ulema radicali emettono contro persone accusate di offendere l’islam e di violarne le prescrizioni. Il diritto costituzionale di vivere secondo le proprie norme culturali e dottrinali, poiché il Pakistan è un Paese multi etnico e multi religioso, deve essere fatto valere, proseguono gli imam che sottolineano quindi la responsabilità del governo di proteggere vita e proprietà dei non musulmani e di agire con fermezza contro chi ne minaccia i luoghi sacri.

L’iniziativa degli imam si inserisce in un contesto politico e sociale estremamente teso. Solo conoscendolo si capisce quanto sia coraggiosa e dirompente. I radicali islamici e i loro partiti sfidano il governo e cercano consensi tra la popolazione, più aggressivi e violenti, se possibile, da quando lo scorso agosto alla guida del Paese si è insediato il nuovo premier, Imran Khan, un uomo che ha  concluso gli studi superiori laureandosi a Oxford, che ha vissuto all’estero, che è stato campione internazionale di cricket e capitano della squadra nazionale portandola nel 1992 a conseguire la sua prima e unica vittoria della Coppa del mondo di cricket.

L’assoluzione lo scorso ottobre di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia nel 2009 e per questo condannata a morte l’anno successivo, e la sua scarcerazione sono state l’occasione di una dura prova di forza. Per tre giorni, dopo la pubblicazione della sentenza emessa dalla Corte suprema il 31 ottobre 2018, i partiti islamisti hanno organizzato violente manifestazioni nelle principali città, paralizzandole e causando danni materiali considerevoli. I leader del partito più importante, il Tehrik-e-Labaik (Tlp), hanno promesso una “fine orribile” ai giudici della Corte suprema colpevoli di aver offeso il profeta Maometto assolvendo Asia Bibi. Sono minacce che tutti in Pakistan prendono molto sul serio. Aver difeso Asia Bibi e aver criticato la legge sulla blasfemia, troppo severa e tale da prestarsi ad abusi, è costata la vita nel 2011 persino al ministro per le minoranze Shahbaz Bhatti e al governatore del Punjab Salman Taseer, entrambi assassinati a distanza di pochi mesi uno dall’altro.

Per ridurre il rischio di aggressioni e attentati, le diocesi hanno consigliato ai fedeli la massima prudenza. Il governo ha disposto agenti di polizia a guardia degli edifici religiosi. In alcune città le scuole cristiane sono rimaste chiuse per giorni. Per convincere gli islamisti a interrompere le proteste il governo ha autorizzato una revisione della sentenza pronunciata dalla Corte suprema e ha garantito che Asia Bibi non sarebbe stata autorizzata a lasciare il Paese per mettersi al sicuro. Dal carcere la donna, insieme ai suoi famigliari, è stata quindi trasferita in un luogo segreto dove si trova tuttora, costantemente protetta da squadre di agenti. Ma queste concessioni non sono bastate. Dopo una breve tregua, le proteste sono riprese. Violando il divieto governativo di manifestare, l’alleanza dei partiti religiosi Mutahidda Majlis-i-Amal ha convocato a metà novembre a Lahore, la seconda città del Paese, una marcia di protesta. Rivolgendosi alla folla dei partecipanti, il presidente dell’alleanza, Maulaa Fazlur Rehman, ha detto che l’assoluzione e la liberazione dal carcere di Asia Bibi erano il risultato di un accordo con l’Occidente e ha accusato il governo di Khan di cospirare per modificare la legge sulla blasfemia e liberare i blasfemi: “Da tanto tempo sostengo che Khan è un rappresentante degli ebrei ed è stato scelto dall’Occidente come suo delegato. È stato messo al potere unicamente per fare gli interessi dei suoi padroni e ferire la Ummah (comunità dei fedeli)”.

Una nuova manifestazione era in programma il 25 novembre a Islamabad, la capitale federale. Sembrava che gli islamisti stessero dunque vincendo la prova di forza con il governo. Invece nella notte del 24 novembre e nei giorni successivi la polizia ha arrestato e posto sotto custodia cautelare migliaia di militanti dei partiti islamisti in tutto il paese, inclusi i loro leader tra cui il capo del Tlp, Khadim Hussain Rizvi, un altro suo alto esponente, Pir Afzal Qadri, e Asif Ashraf Jalali, capo di un altro partito radicale, il Tehreek-e-Labbayk Ya Rasool Allah. Nei giorni successivi sono stati tutti accusati di sedizione e terrorismo, reati contestati in seguito a ogni militante responsabile dell’organizzazione delle manifestazioni di protesta.

Inoltre il governo ha ordinato che venissero rafforzate con un piano speciale le misure di sicurezza, adottate ogni anno  nelle principali città a Natale e a Pasqua. Durante l’Avvento squadre di agenti hanno iniziato i sopralluoghi nelle chiese al fine di predisporvi adeguata protezione. Nelle città gemelle di Islamabad e Rawalpindi oltre 1.500 poliziotti hanno presidiato chiese, istituti e quartieri cristiani. A Lahore oltre 10.000 poliziotti sono stati incaricati di proteggere le chiese, i quartieri cristiani e i parchi in cui i fedeli si radunano per festeggiare il Natale. La preoccupazione che gli integralisti volessero vendicarsi era del tutto fondata. Nel 2016 la loro reazione solo alla decisione del governo di concedere per la prima volta ai cristiani tre giorni di festa in occasione della Pasqua – non solo il venerdì santo che coincide con il giorno di preghiera per gli islamici, ma anche la domenica di Pasqua e il lunedì dell’Angelo – è stata terribile. Il giorno di Pasqua, mentre migliaia di persone affollavano un parco di Lahore, un attentatore suicida si è fatto esplodere nell’area attrezzata con giochi per i bambini provocando 72 morti, tra cui 17 bambini, e 359 feriti. Il gruppo talebano Jamaat ul Ahrar nel rivendicare l’attentato si era rivolto all’allora premier Nawaz Sharif dicendo di aver scelto la città di Lahore per dimostrargli di essere  in grado di colpire anche nel Punjab, la provincia del partito di governo: “L’obiettivo erano i cristiani. Inoltre sappia il primo ministro che siamo entrati a Lahore e che può fare  tutto quel che vuole, ma non riuscirà a fermarci. Gli attentati continueranno”.

Non solo gli attentati, anche gli innumerevoli atti di discriminazione e violenza compiuti da semplici cittadini non militanti. Uno degli episodi più efferati risale al 2014 e si è verificato in un villaggio non lontano da Lahore. Due giovani cristiani, Shahzad Masih e la moglie Shama, genitori di quattro figli, sono stati torturati per due giorni e poi bruciati vivi nella fornace in cui lavoravano da una folla di centinaia di persone. A scatenarne la collera omicida era stata la notizia autorevolmente diffusa dagli altoparlanti della moschea locale che la coppia aveva dissacrato il Corano bruciandone alcune pagine.

La stessa Asia Bibi era stata accusata di aver offeso Maometto da alcune compagne di lavoro musulmane che non volevano lasciarle toccare una brocca dell’acqua perché era cristiana. Ne era nata una discussione in cui, secondo loro, Asia aveva parlato male del Profeta. Da lì l’inizio del suo calvario che ancora non è finito.

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