Ancora oggi, se mi capita di andare a Roma, cerco di riservarmi un po’ di tempo libero per affacciarmi all’ombra del colonnato, sulla piazza prospiciente la facciata di San Pietro, ritornando a quel tempo di giovane iscritto alla Fuci, confuso in una moltitudine colorata in attesa che là, sul riquadro scuro della finestra, si stagliasse la sagoma bianca del Papa. Cammin facendo ho perso non poco della mia fresca fede, ma ho mantenuto un rispetto per il vescovo di Roma, che è rimasto l’unica voce a suscitare un eco universale, urbi et orbi, come suona la formula latina. Rispetto, anche se non sempre condivido quello che dice, parlando lui un linguaggio ripulito della mota di quel quotidiano dove mi tocca inzaccherare le scarpe, non senza qualche schizzo sul fondo dei pantaloni.
Certo, l’attenzione qui da noi è viva, con i giornali e i telegiornali che ne citano le parole, ne seguono i viaggi, ne riproducono i messaggi; solo che non pochi lo fanno con una certa selezione preconcetta con riguardo alle tematiche affrontate, perché se si tratta della solidarietà cristiana, con apertura a tutti gli individui travolti da guerre, persecuzioni, carestie, c’è un largheggiare di titoli e di spazi sulla stampa e sulla tv; ma se si tratta di famiglie, intese come eterosessuali, destinate alla procreazione, indissolubili, allora c’è una attenzione del tutto distratta, che sfocia facilmente in una totale disattenzione che può raggiungere addirittura una vera e propria mistificazione, quale quella attuata con riguardo al tanto bistrattato appuntamento di Verona, dove il Papa aveva dichiarato di condividerne la sostanza, ma non il metodo, con certa stampa portata a interpretarlo nel senso di una netta presa di distanza, una bocciatura a tutto tondo sulle stesse tesi di fondo, se pur propagandate in modi e termini non condivisibili.
Ora: se si ritiene che quanto affermato dalla dottrina cattolica sia roba da Medioevo, non si può che dedurne che colui ne costituisce il portavoce autorevole è un Principe dell’età di mezzo, nonostante che, chissà perché, la Costituzione, certo non scritta solo da bigotti, condivida negli artt. 28 e 29 quella stessa concezione, che, per quanto modernizzabile a’ sensi dell’art. 2, non può certo essere scalzata dalla sua posizione centrale di valore assoluto, non solo da garantire ma anche da promuovere.
Ovviamente questo non significa rimettere in discussione leggi come quelle del divorzio, dell’aborto, delle unioni civili, che certo il Papato non condivide, ma di cui prende atto, avendo dovuto rinunciare a chiamare in suo aiuto il braccio secolare da almeno un secolo e mezzo e a contare sul supporto di un partito cattolico da circa una ventina d’anni, partito cui, peraltro, va dato atto di aver salvato il regime democratico in quel fatidico 18 aprile del 1948. Significa, invece, non criminalizzare una certa concezione della famiglia che, volere o volare, è a tutt’oggi fatta propria dalla maggioranza degli italiani, che vi nascono, vi vivono e vi vorrebbero morire. Dando questo per scontato, sarebbe bene non utilizzare il Papa, esaltandone quanto può ritornare utile a sostegno di una certa visione ecumenica dell’immigrazione, ignorando del tutto la distinzione fra etica della convinzione, di cui deve rendere testimonianza la religione, ed etica della responsabilità di cui deve dar prova la politica. Per, poi, tacere quando parla della rilevanza della famiglia, società naturale per esplicita consacrazione della nostra carta costituzionale, a prescindere dall’eventuale smentita di qualche ricostruzione antropologica in contraddizione con la stessa evoluzione della specie di darwiniana memoria.
Poter dire la propria è la regola base della democrazia; ma far dire all’altro solo quel che fa comodo, come se fosse un self service da usare a piacere, è la degenerazione di quella stessa democrazia.