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Il diritto di voto ai sedicenni, facendoli diventare maggiorenni: implicazioni civili e penali

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È stato sull’onda del FridaysforFuture, celebrato in tutto il mondo con una grande partecipazione di giovani e giovanissimi, che Enrico Letta, tornato a far sentire la sua voce dopo la scissione di Renzi, ha ripreso una proposta lanciata a suo tempo da Beppe Grillo, circa l’estensione del diritto di voto per le elezioni politiche ai sedicenni. Ora, la nostra Costituzione dell’età minima in materia elettorale se ne interessa in due articoli: nell’art. 48, co. 1, per cui “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”; e nell’art. 58, co. 1, per cui “I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”. Il primo fornisce la regola generale, destinata a valere per qualsiasi tornata, nazionale, regionale, comunale, anche se c’è dottrina che la riserva solo alla tornata nazionale; il secondo costituisce una eccezione, ristretta alla sola elezione del Senato. Ora, mentre l’art. 48, co. 1 non è oggetto di alcun tentativo di riforma, lo è, invece l’art. 58, co. 1, col proposito di abbassare l’età minima da venticinque a diciotto anni, dando per scontato che così si uniformerebbe la regola per il Senato a quella della Camera. Ma così è oggi, l’art. 48, co. 1 lasciato com’è, con un rinvio implicito all’art. 2 c.c. che fissa la maggiore età a diciotto anni, potrebbe benissimo essere modificato con legge ordinaria che la porti a sedici anni.

Quindi, non occorre una legge costituzionale, basta una legge ordinaria, che peraltro dovrebbe essere limitata alla elezione della Camera, se la riforma costituzionale in itinere dell’art. 58, co. 1, Cost., dovesse essere realizzata con la prevista riduzione dell’età minima per il Senato a 18 anni. A parte questa eventuale difformità, c’è da tener presente che per l’elezione della Camera, si dovrebbe modificare l’art. 2, co. 1, c.c., cosicché uno diventi maggiorenne a sedici anni, con la contestuale acquisizione della capacità di agire. Ora, a prescindere dalla valutazione dell’opportunità in sé, su cui si dirà qualcosa in prosieguo, c’è da scontarne la ricaduta in materia sia civile che penale. In materia civile, con l’acquisizione della capacità di agire, sarebbe possibile porre in essere personalmente tutti gli atti e negozi giuridici, con conseguente acquisizione in proprio dei rapporti così costituiti; e si dovrebbe rispondere direttamente dei danni arrecati con atti illeciti, senza chiamare in causa, come ora, i genitori. Mentre, in materia penale, resterebbe comunque minorenne colui che è al di sotto dei diciotto anni, distinguendo fra quelli con meno di quattordici anni, per cui c’è una presunzione assoluta di non imputabilità, e quelli fra i quattordici e diciotto anni, per cui non c’è nessuna presunzione, ma la valutazione del giudice circa la sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere al momento del fatto, peraltro con un processo presso il Tribunale dei minori, con perdono giudiziale e con uno sconto sulla pena.

Quindi per coerenza, si può, come anticipato, modificare l’art. 2, co. 1 c.c., portando la maggiore età necessaria per acquisire la capacità di agire da diciotto a sedici anni, con conseguente diritto al voto ai sensi dell’art. 48, co. 1 Cost. Ma, allora, diverrebbe opportuno revisionare anche l’art. 98, co. 1, c.p. riducendo la minore età penalmente rilevante da diciotto a sedici anni. Sempre ai sensi dell’art. 48, co. 1 Cost., il diritto al voto resta riservato ai “cittadini”, sicché risentirà inevitabilmente dell’eventuale revisione del regime della cittadinanza in ragione di una introduzione dello jus soli e dello jus culturae. Soprattutto quest’ultimo andrà coordinato quanto al periodo di tempo e il ciclo di studio con la concessione del diritto al voto a sedici anni.

Circa l’opportunità di tale riforma, di dare la facoltà di voto ai sedicenni, se la si deve compiere con la contemporanea acquisizione della capacità di agire e della esclusiva responsabilità per gli atti illeciti compiuti, nonché con l’opportuna riduzione dell’età minorile penale; se la si deve compiere in tal modo potrebbe avere un impatto negativo sia sul nostro tradizionale impianto familiare, che prevede tempi di convivenza comunque superiori, sia sul nostro auspicabile sistema di istruzione, che dovrebbe vedere il suo compimento ottimale in un periodo di tredici anni. E, d’altronde l’esperienza comparata, se ristretta all’Europa, vede tutti allineati ad eccezione dell’Austria e di Malta (sedici anni) e della Grecia (17 anni); e fuori non ci sono significative varianti, ad eccezione dei Paesi sudamericani, fra cui Argentina e Brasile, per cui mentre ai sedicenni è riconosciuto il diritto facoltativo di voto, per gli ultra diciottenni questo diventa un obbligo che se non esercitato rischia di essere sanzionato. Per le elezioni europee poi vale la regola adottata dai singoli Stati membri, che tende a coincidere con quella delle elezioni nazionali, così da aggirarsi intorno ai diciotto anni. In Italia, la legge n. 18/1979, al suo art. 3 prevede esplicitamente che possono partecipare alle elezioni europee i cittadini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. Qui si potrebbe ridurre con modifica dell’art. 3 l’età minima da 18 a 16 anni, senza doversi preoccupare dell’art. 48, co. 1, Cost., limitato come è alle elezioni interne.

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