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Il modello Taiwan: un caso di successo nella gestione di due emergenze estenuanti, Covid e immigrazione

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Emigranti irregolari e Covid-19, due emergenze estenuanti. Nel 2020 gli sbarchi sono triplicati rispetto al 2019: da 11.471 sono passati a 34.133. Quasi tutti i nuovi arrivati non conoscono la nostra lingua, sono partiti senza una prospettiva di lavoro, senza un progetto se non quello di cavarsela in qualche modo meglio, e più facilmente, che a casa. Tanti, come quelli che li hanno preceduti negli ultimi cinque anni, finiranno disoccupati, lavoranti in nero, arruolati da mafie nigeriane e altre organizzazioni criminali. Prima però quelli, e sono la maggior parte, che all’arrivo si sono dichiarati profughi usufruiranno a lungo del sistema assistenziale creato per provvedere ai richiedenti asilo e ai titolari di protezione internazionale o di permesso di soggiorno umanitario.

Oltre ai problemi di sicurezza e ordine pubblico, e relativi costi, che crea la presenza di centinaia di migliaia di persone poco o per niente integrate, l’emergenza emigranti comporta oneri economici enormi. Il bilancio di spesa 2020 del Viminale prevedeva 1,93 miliardi di euro per “immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”, ma aggiungendo altre voci, come ad esempio il soccorso in mare, il totale supera ampiamente i due miliardi. Negli anni di maggior afflusso si è arrivati a 4,4/4,6 e fino a 5 miliardi.

Hanno provato a farci credere che gli emigranti irregolari costituiscono invece una “risorsa”, addirittura provvidenziale. Non ci crede più nessuno. Piuttosto molti si convincono che non ci sia rimedio, che gli emigranti irregolari non si possano fermare, e anzi ne arriveranno sempre di più. Grazie anche a una informazione parziale e limitata che riduce il nostro campo visivo, non ci rendiamo conto che altrove nel mondo ci sono governi che combattono l’emigrazione illegale e regolano gli afflussi di emigranti con buoni risultati, in funzione della propria domanda di forza lavoro; che gli emigranti sono almeno 164 milioni, in gran parte con i documenti in regola: non si spacciano per profughi in fuga da guerre e violenze estreme per non essere respinti, lavorano con profitto per sé, per il Paese in cui si sono trasferiti e, se guadagnano abbastanza da spedire denaro in patria, anche per quello da cui provengono e per i famigliari rimasti a casa. Nel 2018 le rimesse degli emigranti all’estero sono ammontate a 689 miliardi di dollari.

Quanto al Covid-19, viviamo ormai da quasi un anno in un incubo fatto di divieti incomprensibili, libertà violate, notizie allarmanti, previsioni apocalittiche di nuove ondate e future epidemie incombenti, impoveriti, in molti casi al limite della sopravvivenza. Il nostro campo visivo si è ridotto in senso proprio: per settimane confinati in casa, costretti a non oltrepassare i margini del quartiere, del comune di residenza, della regione, finiti i viaggi all’estero, le vacanze in altri continenti. Esausti, senza intravedere una via d’uscita se non nel vaccino e forse neanche in quello, rassegnati ad accettare che la nostra vita sia cambiata irrimediabilmente, molti finiscono per credere che davvero, come pretendono i nostri governanti, quello dell’Italia sia il modello di gestione del Covid che tutto il mondo ci invidia.

Invece, quasi si stenta a crederlo (tanti italiani rifiutano di farlo), numerosi Paesi nel 2020 sono riusciti a governare e a gestire con successo sia i flussi migratori che il Covid-19. Il caso di Taiwan è esemplare e, confrontato con quello italiano, mortificante. Bisogna premettere che in Italia la densità demografica è di 206 abitanti per kmq e a Taiwan di 673; inoltre in Italia, 60,3 milioni di abitanti, il 69,5 per cento della popolazione, vive in centri urbani, e a Taiwan, 23,6 milioni, il tasso è del 79,0 per cento.

L’Italia è uno dei Paesi più colpiti dall’emergenza Covid-19 per tasso di mortalità: 1.354 morti per milione di abitanti, ci superano solo Belgio, Bosnia Herzegovina e Slovenia. Lo è anche per le pessime ripercussioni economiche: il Pil italiano è sceso del 17,3 per cento nel secondo trimestre del 2020, del 9,9 per cento su base annua e si stima possa crescere del 4,1 per cento nel 2021, ma tutto fa temere che non sarà così dal momento che si prospettano altri mesi di zone rosse, arancio e gialle e manca un piano governativo di ripresa.

Taiwan non è nell’Oms, perché la Cina pone il veto e quindi non ha ricevuto indicazioni, protocolli, aiuti di alcun genere. Tuttavia è tra gli stati che finora hanno meglio combattuto il Covid-19: i dati rilevati il 17 gennaio indicano 855 casi, sette morti e un tasso di mortalità dello 0,3 per cento. Sul fronte economico, il Pil di Taiwan ha perso lo 0,6 per cento nel secondo trimestre del 2020, ma ha chiuso l’anno con una crescita del 2,3 per cento e si prevede per il 2021 un aumento del 3,2 per cento. A questo risultato hanno contribuito, tra l’altro, le numerose aziende taiwanesi in Cina che nel corso del 2020 si sono trasferite in patria, con investimenti per 32 miliardi di euro che da soli hanno creato 100.000 nuovi posti di lavoro.

L’economia dinamica e la forte domanda di forza lavoro nel 2020 hanno attirato quasi 800 mila emigranti regolari, con un afflusso di talenti soprattutto in ambito tecnologico, il fiore all’occhiello dell’industria locale. Tra i nuovi arrivati si contano 820 uomini d’affari e almeno 124 giornalisti che hanno preferito stabilirsi a Taiwan per seguire le notizie dalla Cina senza correre il rischio di problemi con le autorità cinesi. Il Ministero del commercio e del lavoro taiwanese sottolinea con soddisfazione che tra gli immigrati molti sono gruppi famigliari attirati dalla prospettiva di trovare nell’isola non solo ottime opportunità di lavoro, ma anche un sistema sanitario efficiente e un sistema scolastico ben organizzato che dà ai ragazzi la possibilità di frequentare la scuola in sicurezza.

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