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Il Movimento che si fa casta: Di Maio riesce a piazzare il suo compagno di scuola nel cda di Leonardo

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Pubblichiamo un intervento di Giulio Centemero, deputato, capogruppo in Commissione Finanze e tesoriere della Lega

È la storia che si ripete. È infatti un attimo passare dal “VaffaDay” dell’anticasta di grillina memoria al tanto vituperato nepotismo che contraddistinse alcuni periodi storici che hanno segnato profondamente la storia d’Italia. Così tanto remoti che lo stesso Di Maio deve essersene dimenticato a tal punto da incappare nello stesso errore.

Era il lontano 26 febbraio, quando il Movimento 5 Stelle si ritrovò a Roma, in Piazza Santi Apostoli, per gridare contro la casta. Il che è singolare, non solo perché il Movimento si trovava, come del resto anche oggi, saldamente legato agli scranni della maggioranza di governo, ma perché si respiravano già le forti divergenze di “opinione” e le divisioni che proprio in questi giorni stanno agitando ulteriormente i pentastellati, e che hanno portato ad una situazione ingovernabile, così come allo sfilacciamento delle prospettive generali.

Ad ogni buon conto, in tale “raduno” l’ecumenico e patriottico ministro degli esteri pronunciò, riporta la stampa, le seguenti parole: “Chiediamo istituzioni all’altezza dell’amore che proviamo per il nostro Paese”, e ancora: “Io vi rappresento tutti nei consessi internazionali, so quanto vale questo Paese. Noi siamo qui per tutelare il più alto bene comune, che è la fiducia nei propri rappresentanti. Se si spezza quella, nessuno rispetta le leggi”. Tale amore per il proprio Paese, in questi giorni, deve essersi incagliato in qualche ingranaggio, così come il concetto di rappresentanza per il bene comune.

Meritocraticamente infatti il ministro degli esteri ha piazzato il proprio compagno di banco nel cda di Leonardo, così come riportato in questi giorni da diversi organi di stampa. Nulla da obiettare, se essere amici di famiglia o compagni di banco rappresenta uno dei criteri individuati dalla piattaforma Rousseau per nominare i propri rappresentanti. Perché immagino che tali nomi siano prima stati valutati dai componenti della piattaforma, così come per il Mes. Il problema arriva però quando il compagno di banco sembra avere dei conflitti di interesse e di neppure poco conto. L’anticasta che diventa casta e nel peggiore dei modi.

Il Movimento si è sempre contraddistinto per l’utilizzo della democratica piattaforma ideata dalla Casaleggio & Co. A tal punto che nel febbraio del 2019 comunicò anche le nuove regole per le candidature europee dove spuntarono nove “meriti” per aiutare gli elettori a scegliere; generati dalle attività di partecipazione e affiancati anche dalla categoria dei “supercompetenti”. Quest’ultimo merito attribuito se il candidato possedeva un alto livello di specializzazione in un determinato campo professionale o di ricerca o se presentava nel cv esperienze lavorative di eccellenza. Insomma, criteri a prova di bomba.

Ma quindi, presumo che la sistematica votazione sulla piattaforma sia stata utilizzata anche per la scelta dei candidati da inserire nei cda e che meritocraticamente sia spuntato il nome del compagno di banco del ministro degli esteri. Ripeto, nulla da obiettare, ma se oltre ad un curriculum di tutto rispetto e comprovate esperienze professionali, vanta anche un presunto conflitto di interessi, i casi sono due: o il ministro degli esteri ha approfittato della confusione generata dalle fughe in avanti di Conte sul Mes per inserire furbescamente il proprio compagno di banco nel cda di Leonardo, o la piattaforma comincia ad avere qualche falla. O più semplicemente il Movimento è diventato così tanto autorefenziale non solo da piegarsi, se necessario, alla volontà renziana (vedasi le conferme nei cda), ma da risvegliare addirittura il sopito Di Battista che ha dichiarato oramai guerra al compagno di ventura che oggi siede alla Farnesina.

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