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Il rogo di Notre Dame e la cattiva coscienza dell’Occidente

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È l’Europa delle cattedrali a sanguinare, con tutto quello che contiene, e che oggi evapora nel fumo

Se brucia una cattedrale in tempi normali si prova sgomento, dolore, angoscia, tutto quel che si vuole, ma se brucia in questi tempi di resa, di sconfitta, a salire sono la paura e il sospetto: è la cattiva coscienza dell’Occidente che sa di essere vulnerabile e indifeso, sa di non essere più in grado di opporre una resistenza militare, etica, culturale. In questo senso è come se il rogo accidentale, come è stato subito, forse frettolosamente classificato, fosse comunque ascrivibile a un qualche attacco, quanto a dire l’ammissione comunque di un disastro. E non è dietrologia, è più che lecito, quasi doveroso interrogarsi sulle coincidenze: il rogo massiccio e veloce, la vigilia di una delle principali festività cristiane, gli 850 templi aggrediti solo in Francia nello scorso anno, la sequela atroce di attentati pregressi.

Per questo la notizia di una casualità è ben accolta da tutti, fa comodo a tutti: così non fosse, rischierebbero in tanti. Bergoglio, questo papa così ostinato sulle faccende politiche ma distratto, quasi afono sui risvolti confessionali, che anche in questa occasione ha brillato per la sua latitanza, solo dopo 16 ore ha affidato un comunicato di circostanza, distante, a un portavoce: prego per tutti, non solo i cristiani. Sì, i migranti, abbiamo capito. Ma che dire del presidente Macron, capo di quello stato francese che ha in carico anche la cura di Notre Dame? L’anno scorso avevano partorito la trovata, risibile, di una colletta per sistemarla, cadente com’era: adesso non basteranno 150 milioni. Uno dei luoghi simbolo della civiltà occidentale lasciato di fatto sguarnito, sfasciato, sia come sia, dall’incuria, dal disinteresse istituzionale. E tutto viene colto quasi con sollievo, meglio l’incapacità, meglio l’inettitudine pubblica, meglio tutto che l’incubo del terrorismo. Anche se subito la rete si riempiva di messaggi di giubilo demente, anche se spuntavano certi ceffi, graditi ospiti, risorse che non mancavano l’occasione per un selfie esultante, loro a ridere, la cattedrale dietro che ardeva. E anche questo viene preso con rassegnazione, minimizzando, ma sì, che sarà mai, non demonizziamo, non tragediamo. Non ne esce bene neppure l’altrimenti invadente Unione europea, che di tutto si impiccia fuorché di raccomandare una maggiore tutela per i luoghi sacri dei cristiani, in una nazione dove nei cimiteri coprono le croci delle lapidi, ritenute offensive per chi nei cimiteri cristiani, a rigor di logica, non avrebbe alcun interesse ad entrare.

Sia quello che sia, ma nella loro logica gli esagitati non cattolici (va bene così?) hanno tutte le ragioni di esultare: la nostra paura è il loro trionfo, la nostra rassegnazione è la loro forza. Restano inchieste che dureranno più della ricostruzione di Notre Dame, che porteranno a chissà cosa, che forse chiariranno, speriamo almeno questo, come abbia potuto svilupparsi un incendio in uno dei templi più importanti del mondo, da un cantiere di ristrutturazione senza controlli, senza allarmi, senza i 400 estintori automatici di cui lamenta la mancanza il critico alsaziano Philippe Daverio. Resta, comunque la si veda, la conferma di una rinuncia europea, occidentale, a esistere, qualcosa di incomprensibile che difatti altrove non riescono a capire: il presidente americano Trump sarà pure il rozzo che dicono, ma quando si stupisce della farragine dei soccorsi, quando chiede perché non vengano utilizzati i canad air con l’acqua, non sarà un esperto di soccorso ma evidenzia una perplessità che qualsiasi sano di mente non può non avvertire.

Dall’altra parte, gli esibizionisti nostrani, i professionisti della provocazione perenne che “se ne fregano di Notre Dame”, oppure quelli che festeggiano a pugno chiuso perché sarebbe “crollato un simbolo di oppressione religiosa delle masse”. In Rai, il Tg1, principale testata informativa del servizio pubblico, annaspa a lungo, quindi imbastisce una edizione straordinaria confusa, raffazzonata, davvero modesta, salvo alle ore 23 cedere spazio alla guitteria di “Che tempo che fa” ed è davvero straniante, è delirante e offensivo passare dal dramma ancora inspiegabile della grande chiesa che brucia, dai convulsi getti d’acqua dei pompieri, dai canti lamentosi dei parigini sgomenti ai frizzi e lazzi del tutto fuori luogo della claque di Fabio Fazio, che evidentemente in Rai è il Padreterno e conta più di tutto. Ma siamo laici, lamentiamoci pure ma in modo sussiegoso, con progressista sfoggio di cultura, col tipico distacco di sinistra, non la chiesa in sé, non il suo ruolo di testimone della cristianità, ma la sua proiezione intellettuale e niente più di questo.

Duri a morire sono i vizi mentali dell’Occidente, le sue tare, i suoi narcisismi idioti e chi oggi celebra lo sfascio di un simbolo così potente lo sa. Dicono che Notre Dame si sia salvata: no, è rimasta in piedi, ma rovinata, mangiata dentro, verrà rifatta ma la ferita è enorme e spaventosa. È l’Europa delle cattedrali a sanguinare, con tutto quello che contiene, e che oggi evapora nel fumo.

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