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La compagna Meg non viene attaccata per colpire Saviano, ma per una doppia morale epica

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“E tutto d’un tratto, il coro”, diceva Carlo Dapporto in una famosa pubblicità del dentifricio. Il coro manco a dirlo è scattato con la solennità d’una prima alla Scala per difendere la compagna Meg, all’anagrafe Maria di Donna, sulla quale, come recitava un’altra preclara pubblicità perduta, questa della marmellata, “non si può”. Perché no? Per varie e granitiche ragioni: perché è donna, perché è compagna, perché è la compagna di Saviano. Il ragionamento è arcisentito, scontatissimo: troppo comodo, troppo facile prendersela con una donna, il solito maschilismo strisciante che condanna le donne per diffamare i loro compagni. Ragioni sintomatiche di certa disinvoltura logica e di qualche cedimento etico: ma granitiche un par de palle. Vediamo perché. Anzitutto, la litania della dddonna, in 3d, vessata, strumentalizzata, usata come clava per dare addosso al compagno non torna, per dire, nel caso di una Elisa Isoardi sulla quale le belle coscienze de sinistra si sono sentite autorizzate a maramaldeggiare a oltranza, riammettendola nell’ovile sociale solo una volta trapelata la notizia della rottura con Matteo Salvini. Quasi si fosse decontaminata. Quello delle riabilitazioni in funzione ideologica è processo storicamente comunista e moralmente cubista, si pensi per mero esempio al caso Carfagna, arruolata d’autorità nelle armate della sinistra al primo stormir di frondismo gialloverde dopo essere stata dipinta per anni e annorum in odor di sollazzo berlusconiano con gli epiteti più volgari (citofonare Sabina Guzzanti); ma non fu lo stesso destino occorso in fin di vita a un anticomunista viscerale come Indro Montanelli, una volta finito in rotta di collisione con l’allora Cavaliere? Con la compagna Meg non c’è neppure bisogno di riabilitazione, senonché il coro dell’indignazione de sinistra è a maggior ragione, inesorabile, l’opportunismo moralista agita una coda di paglia lunga come la Transiberiana.

Perchè il punto sta in una rimozione forzata che va oltre il limite della malafede. Che si spenda il nome (d’arte o meno) della compagna Meg per risalire a Saviano è inevitabile non tanto perché i due stanno insieme, quanto perché condividono una esemplare incoerenza, la doppia morale epica di chi ostenta pose e birignao di sinistra – estrema – a mascherare redditi, agi e attitudini da superricchi, da liberisti estremi. A chi si scandalizza perché si violerebbe la sfera di miss Meg per colpire mister Saviano, va ricordato – lo sanno benissimo, naturalmente, ma glissano – che la compagna Meg militava in una formazione canterina, i 99 Posse, uscita dal giro dei centri sociali napoletani, tra i più forsennati in assoluto, spesso in sospetto di fanatismo anarcoinsurrezionalista, dove si cantava della bellezza di far fuori i fascisti (“ho un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero sparo a vista” salmodiava il leader ‘O Zulu, quello che di recente voleva appendere pure la Meloni), e di muovere guerra totale, senza quartiere e senza pietà, contro il liberismo, il capitalismo, le disuguaglianze, la proprietà privata. Benissimo!, avrebbe chiosato il poeta Pasolini: è una posizione come un’altra, cialtronesca se si vuole, ma, in democrazia, da tollerare: con il piccolo particolare che, nel frattempo, la rivoluzionaria Meg è finita a vivere a pendolo tra l’attico savianesco a New York e il suo personale appartamento di 6,5 vani per 120 metriquadri nel centro di Roma – informa Panorama -, blindato e con una diffidentissima telecamera che dà sull’esterno: un vertiginoso mutamento nello stile di vita da posse, da centro sociale dove si menava vanto di accogliere chiunque – tranne la sbirraglia, s’intende – e si muoveva lotta dura senza paura alla proprietà privata e al controllo di polizia a suon di telecamere.

Ce n’è abbastanza per legittimare la critica alla Meg in sé, e di conseguenza per scrollarsi di dosso certe indignazioni pelose e penose. La compagna Meg non viene attaccata per nuocere a Saviano, ma per la sua personale, autonoma, squisitissima condizione, per la sua speciale parabola umana, sociale e finanziaria; che poi la condivida con un altro che predica come predica, e razzola a suon di milioni, è un altro paio di maniche: collegate, magari, ma affatto distinte. Tutto questo si chiama diritto-dovere di cronaca, e rinunciarvi “per non colpire una donna” è una sonora fregnaccia che nessun giornalista dovrebbe mai avallare, neppure al fondo della malizia e della partigianeria

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