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La guerra di “civiltà” di Putin: annientare l’identità ucraina

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Come definire la guerra che Vladimir Putin ha scatenato invadendo l’Ucraina, Stato indipendente e sovrano nonché membro a pieno titolo dell’Onu? La risposta è molto meno facile di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Sgomberiamo innanzitutto il campo dall’ipotesi che sarebbe più ragionevole, secondo la quale lo zar moscovita intenderebbe soltanto riconquistare territori che, a suo avviso, sono stati illegittimamente tolti alla Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica, o durante la sua esistenza.

Tale risposta è troppo semplicistica, non tiene conto che l’invasione non è solo motivata da rivendicazioni territoriali bensì – e in modo ben più decisivo – da ragioni “culturali”. Uso in questo caso le virgolette per segnalare subito che la dirigenza russa sta utilizzando il termine “cultura” in maniera quanto meno anomala.

Il punto di partenza è il seguente. Il presidente russo, e il circolo ristretto che lavora con lui, è fermamente convinto che l’Ucraina, in quanto tale, non esista. Esiste invece un’unica Russia, “madre” definita a volte “santa” e a volte “grande”, le cui origini risalgono alla Rus’ di Kiev nel Medio Evo.

L’unico merito che va dunque riconosciuto all’Ucraina è quello di aver dato vita alla civiltà russa, che lo stesso Putin giudica superiore a tutte le altre. Gli ucraini vanno puniti perché avrebbero scordato il ruolo che hanno svolto nella nascita della suddetta civiltà, cancellando i suoi capisaldi e “vendendosi” senza remore all’Occidente.

Come aveva già fatto Stalin durante la Seconda Guerra Mondiale, Putin ha restituito alla Chiesa ortodossa russa tutto il potere che aveva perduto in epoca sovietica e poi negli anni convulsi che seguirono la fine dell’Urss. Si tratta di un’intuizione importante. La Chiesa ortodossa era già ai tempi degli zar il “collante” che teneva unita l’immensa nazione. Portatrice, da un lato, di una spiritualità ricca e complessa – diversa da quella occidentale – e diretta erede di Costantinopoli (o Bisanzio). Dall’altro garanzia celeste del potere terreno incarnato nello zar. E infine, last but not least, custode di una tradizione ritenuta eterna e immodificabile.

Il lettore si chiederà cosa c’entri tutto questo con l’invasione dell’Ucraina. La risposta è semplice. Putin e il suo sodale Kirill I, capo della Chiesa ortodossa russa, sono per l’appunto convinti che la tradizione ortodossa debba essere la base dello Stato ed estesa a tutti i territori e a tutti i popoli che in qualche modo possono essere identificati con la Russia. Il suo compito principale è combattere, da un lato, la modernità, e dall’altro la decadenza che ad essa si associa. L’Occidente è stato corrotto dalla modernità e dal liberalismo, giudicato come ordinamento politico e sociale del tutto inadeguato. Occorre quindi educare le giovani generazioni ad evitare i “mali” dell’Occidente.

Per quanto strane e inusuali simili tesi possano sembrare, pare proprio che i soldati inviati a invadere l’Ucraina siano stati “indottrinati” in questo modo. Non esiste la nazione ucraina, che deve invece essere chiamata “Sud-Ovest” della Russia. Numerosi inoltre gli episodi in cui i militari di Mosca, dopo aver occupato una città o un villaggio, hanno chiesto agli abitanti di educare i loro figli come persone “normali”.

Dal che si arguisce che la “normalità” si identifica in toto con la tradizione ortodossa russa, e “anormale” è tutto ciò che da essa si distacca. E tale distacco va punito anche sterminando gli apostati, come sta appunto accadendo nello sventurato Paese invaso. Dal momento che per Putin e soci l’Ucraina fa parte – con la Bielorussia – del contesto culturale, storico e spirituale russo, non è possibile alcuna discussione. Si tratta di adeguarsi per non venir uccisi o, nei casi più fortunati, deportati per essere sottoposti alla “rieducazione” (termine sinistro, che ricorda da vicino la rieducazione degli elementi anti-partito nella Cina di Mao Zedong).

Per questi motivi la guerra in corso appare così cupa. Non ci sono ragioni razziali che la spieghino, giacché gli stessi russi riconoscono il loro alto grado di affinità con gli ucraini. Questi ultimi, secondo Putin e Kirill I, lo hanno invece scordato, e ogni mezzo è lecito per ricondurli alla tradizione. Vivi, se è possibile, ma anche morti se è necessario.

Qualcuno crede che la caduta di Putin potrebbe migliorare la situazione, ma non è detto che sia così. Pare infatti che intorno allo zar vi siano personaggi, sia civili che militari, più “falchi” di lui. E ciò significa che un eventuale cambio della guardia potrebbe portare sventure ancora più grandi.

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