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La ricompensa si chiama Gentiloni ma le regole non si toccano: secchiate d’acqua gelata sugli euroingenui

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Con l’ex presidente del Consiglio Gentiloni verso la nomina a commissario agli affari economici e monetari (succedendo ad un altro socialista, Pierre Moscovici) vanno al loro posto non solo le pedine della nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, ma anche quelle del governo Conte 2 frutto dell’accordo tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Il Pd si ritrova così a occupare dall’alto, o meglio dal basso del suo 18 per cento alle ultime elezioni politiche, poco più di un anno fa, e del 22 alle europee di maggio, i due posti di governo, a livello europeo e nazionale, da cui dipende la nostra politica economica, mentre è alto il prezzo pagato dal partito di maggioranza relativa in Parlamento per restare “imbullonato” alle poltrone: non disturbare i manovratori. In particolare quella a Bruxelles è una postazione a lungo ambita dal nostro Paese, e in linea teorica cruciale, arrivata come ricompensa per essersi riallineato al sistema di potere che governa le istituzioni Ue. E pazienza se questo riallineamento non è la conseguenza del voto degli italiani, ma di una manovra di palazzo guidata dal Colle dietro spinte esterne e interne divenute irresistibili dopo il successo di Salvini alle elezioni europee. Se Costituzione alla mano ogni maggioranza che si crea in Parlamento ha la stessa legittimità, è però innegabile il ribaltone rispetto non tanto alla Lega, ma alla volontà espressa dagli elettori il 4 marzo 2018, che al 51 per cento avevano premiato forze euroscettiche e bocciato sonoramente il governo uscente guidato proprio da Gentiloni.

Se l’ex premier Pd andrà a occupare quella casella così strategica, nonostante proprio l’Italia sia sulla black list di chi non fa i compiti a casa e abbia evitato per un soffio una procedura di infrazione solo lo scorso luglio, è grazie alle sue credenziali europeiste e all’aiuto di Berlino e Parigi, decisivo nel superare le fortissime resistenze di altre capitali. Esponenti sia delle istituzioni Ue che della politica e della stampa italiana non fanno mistero, anzi quasi si compiacciono del diverso atteggiamento nei confronti della nuova maggioranza di governo e nessuno sembra abbia da ridire sull’uso discrezionale, politico, che viene fatto della Commissione e delle regole.

Ma chi si aspetta che l’Italia riceverà “lo sconto” sugli obiettivi di riduzione del deficit rischia di rimanere deluso. Gentiloni agli affari economici e monetari infatti potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Potrà certo influenzare l’indirizzo generale della Commissione, ma avrà tutti gli occhi puntati addosso e dovrà non solo essere ma anche apparire rigoroso con il governo di Roma. Non ce ne sarà bisogno, in effetti, perché Gentiloni e il neo ministro dell’economia e delle finanze Gualtieri non rappresentano, come in queste ore molti si illudono, il segnale di un via libera a sforare gli obiettivi di deficit imposti dal Patto di Stabilità, o addirittura un’apertura a ridiscutere le regole, ma al contrario l’assicurazione per l’Ue che l’Italia li rispetterà. È più probabile che siano stati messi lì per farceli raggiungere, e senza nemmeno poterci lagnare di essere vittime di un perfido commissario francese o tedesco.

In questo senso sono arrivate delle vere e proprie secchiate d’acqua gelata, persino su quel richiamo giunto dalla massima istituzione della nostra Repubblica, dal presidente Mattarella, alla “necessità di un riesame delle regole del Patto di Stabilità”. Come mai il presidente non ha trovato l’occasione per segnalare o ribadire questa necessità durante l’anno appena trascorso? Non avrebbe potuto farlo, per esempio, all’indomani del 2 luglio, dopo la lettera di resa di Conte e Tria alla Commissione?

La richiesta di Mattarella solo oggi suona sinistramente come un ultimo disperato appello a Bruxelles e ai partner europei: guardate che se non allentate i vincoli, se non cambiamo le regole, qui in Italia non riusciremo più a fare argine, verremo travolti dai “sovranisti”. Come farà senza margini di spesa il governo Pd-5Stelle a comprarsi il consenso che attualmente non ha?

Altro che “L’Europa ci farà lo sconto” (titolo di Repubblica che tra l’altro avvalora la sensazione di un rapporto di subordinazione tra Italia e partner Ue), il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, in un’intervista dal Forum Ambrosetti a Cernobbio (lo stesso dal quale Mattarella lanciava il suo messaggio nella bottiglia) raffredda subito le bollenti aspettative del governo giallorosso e del Quirinale: dopo aver ricordato che “l’importante è lavorare all’interno delle norme, senza sfidarle”, avverte che “ci sono 19 democrazie con sentimenti forti sulle regole fiscali… non vedo però la volontà di renderle indulgenti e su questo dobbiamo essere chiari da subito, per evitare false aspettative e fraintendimenti”. Certo, “con un governo dalla visione pro europea le discussioni sui conti italiani saranno più facili”. Dialogo e flessibilità, dunque, ma “all’interno delle norme esistenti e nel rispetto degli impegni presi”. E l’impegno già preso per il 2020 è un deficit all’1,8 per cento.

Ancor più sprezzanti due tweet dell’ex cancelliere austriaco Sebastian Kurz (partito Merkel), il primo replicando proprio a Mattarella: “Respingiamo rigorosamente un ammorbidimento delle regole di Maastricht come richiesto dall’Italia. L’Italia non può diventare una seconda Grecia. Ad ogni modo, non siamo pronti a pagare i debiti dell’Italia!”. E rincarando la dose: “L’attuale dibattito mostra ancora una volta la necessità di un nuovo trattato Ue con sanzioni in caso di violazione delle norme. Il mancato rispetto delle norme sul debito deve comportare automaticamente sanzioni”.

E la ricompensa per la nascita del governo anti-Salvini? Per aver evitato alla nuova Commissione la spina nel fianco di un commissario sovranista? La ricompensa è Gentiloni. Stop. E il rallentamento della congiuntura economica internazionale, la crisi che sta arrivando anche in Germania? La presenza di un commissario italiano agli affari economici e monetari servirà per raccomandare maggiore flessibilità, giocando sull’output gap (il differenziale tra Pil potenziale e reale), di cui però si avvantaggerà soprattutto Parigi per sforare il 3 per cento (“in Francia riteniamo che il nuovo governo rappresenti un’opportunità”, ha commentato Le Maire), perché nei nostri confronti varrà il ragionamento che certo, servirebbe una politica espansiva, ma non ce la possiamo permettere per via del debito eccessivo che rischia di andare fuori controllo. Forse potremo spendere qualcosa in più grazie al minor costo del debito dovuto alla riduzione dello spread (i mercati scontano nuovi stimoli della Bce in arrivo), forse ottenere qualche zero virgola rispetto all’1,8 per cento, ma nulla che possa davvero essere decisivo per rilanciare la nostra economia.

In cambio, è scontato il nostro sì alla proposta tedesca di un Fondo sovrano Ue per investire nella creazione di campioni industriali europei, o meglio franco-tedeschi, nei settori strategici ad alto contenuto tecnologico, ma soprattutto la ratifica senza intoppi del nuovo ESM, che di fatto esclude l’Italia dall’ombrello salva-Stati, offerto senza condizioni (ma anche con i nostri soldi) ai Paesi virtuosi, in regola cioè con i parametri di Maastricht e le regole del Fiscal Compact, in caso di shock esterni. Una riforma che sembra architettata appositamente per mettere al riparo gli altri Paesi membri dal contagio di una crisi dell’Italia. Non vorremmo rovinare il sonno agli azionisti e ai fan entusiasti del governo giallorosso, ma la grande preoccupazione in Europa per una vittoria elettorale di Salvini, e quindi il sostegno al Conte 2, potrebbe esaurirsi o scemare con la messa in sicurezza del nuovo ESM. Da quel momento, l’Ue avrebbe gli strumenti per far pagare amaramente agli italiani un governo a guida Lega senza rischiare il propagarsi dell’instabilità finanziaria ad altri stati membri. Almeno in teoria…

Quello del presidente della Repubblica al Forum Ambrosetti di Cernobbio che si è tenuto lo scorso fine settimana non è stato il tradizionale messaggio di saluti alla platea di un meeting economico o politico, ma per le policies elencate (anche dove investire e dove tassare), i temi toccati, per la tempistica – poche ore dopo il giuramento e poche ore prima del dibattito sulla fiducia – quasi un manifesto programmatico del nuovo governo, nonostante spetti al premier la responsabilità dell’indirizzo politico.

Un messaggio che ci dice molto però sulla genesi e la natura del Conte 2: un governo politico del presidente su mandato Ue. Proprio dietro il suo richiamo alla “necessità di cambiare le regole del Patto di Stabilità” si intravede un Mattarella nel ruolo sia di regista dell’operazione che di garante con Berlino, Parigi e Bruxelles. Chi, infatti, se non il garante può esigere ora quella “ricompensa” che evidentemente qualcuno in Europa deve aver evocato a Conte, a Pd e 5 Stelle per indurli a formare il governo anti-Salvini?

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