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La Sea Watch fa scuola e il Gip di Agrigento fornisce il “precedente”: la via scafisti-ong-Lampedusa

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Spero che la possibilità di non concordare con una decisione giudiziaria sia ancora una libertà concessa, senza che solo per questo si debba considerare offesa la maestà della magistratura, peraltro lesa traumaticamente da una vicenda che inquina la stessa figura di vertice di quella inquirente, il procuratore generale della Corte di Cassazione. D’altronde la c.d. dottrina giuridica lo fa normalmente per mestiere, in maniera a volte anche estremamente severa, senza per questo metterne in forse l’indipendenza, caratteristica essenziale di uno stato di diritto, come tale sancita e garantita dalla nostra Costituzione.

Preso atto che l’ordinanza del Gip di Agrigento di non confermare la misura cautelare disposta dal procuratore competente nei confronti della comandante Carola Rackete costituisce solo il primo momento di un percorso giudiziario destinato a svolgersi ulteriormente in un tempo difficilmente prevedibile, occorre riconoscere che di per sé rappresenta un possibile “precedente” sul decreto sicurezza-bis, meritevole di essere considerato come tale. Deve essere anzitutto segnalato che la Gip non ha recepito quell’indirizzo, sostenuto ed enfatizzato dai media, di una automatica prevalenza del “diritto naturale” sopra il “diritto positivo”, con un ritorno ad un giusnaturalismo pre-moderno. Ma si è mossa nell’ambito di un ragionamento giuridico, facendo forza sulle convenzioni internazionali: ha riconosciuto l’obbligo di salvare i naufraghi e di riportarli in un porto sicuro, scartando Tripoli e Tunisi; ha accertato l’esistenza di uno stato di necessità, tale da giustificare la forzata entrata nel porto di Lampedusa della Sea Watch; ha considerato legittima la manovra di accostamento al molo, comunque declassando la imbarcazione coinvolta della Guardia Costiera a nave non da guerra.

Mi limiterò a segnalare che c’era già un consistente corpus giurisprudenziale. Nel primo caso, la Diciotti, nave della marina italiana, il divieto di sbarco dei migranti raccolti a bordo è stato individuato come un sequestro di persone a carico di Salvini da parte della Procura di Agrigento che ne ha chiesto però l’archiviazione, respinta dal Tribunale dei Ministri di Catania, con conseguente richiesta di un’autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati, che, però, l’ha negata. Nel secondo caso, la Sea Watch 1, nave straniera, lo stesso divieto di sbarco degli immigrati raccolti, è stato altresì ricostruito come un sequestro di persone, ma per essere archiviato dallo stesso Tribunale dei Ministri di Catania con un sottile distinguo: battendo la seconda una bandiera non italiana ma straniera, era giustificato il divieto di ingresso nel porto, tanto che il contravvenirlo rendeva legittimo il no al divieto di sbarco. Nel terzo, la Sea Watch 3, in attesa forzata fuori delle acque italiane, la Cedu aveva bocciato l’appello fatto dagli immigrati circa l’urgenza di un’immediata via libera all’entrata nelle acque territoriali italiane.

Qui mi interessa vedere quale sarebbe la conseguenza del provvedimento del Gip di Agrigento, se venisse confermato, con riguardo alla politica immigratoria. Si deve partire da un fatto notorio, anche escluso che vi sia alcun rapporto diretto fra ong e mercanti di carne umana. I fuggiaschi dai campi libici, violentati e torturati, ma non privati dei soldi necessari a pagare gli scafisti, vengono trattati secondo una politica ben diversa da quella originaria di farli salire su imbarcazioni capaci di tenere il mare, condotte dagli stessi scafisti. Ora tale politica si è fatta più raffinata, secondo una duplice variante. La prima è quella di caricare i migranti sui gommoni a perdere, i quali dopo aver percorso poche decine di miglia, entrino o meno in avaria, richiedono aiuto tramite i telefoni satellitari, contando su un centro volontario di ascolto, Maritime Rescue Coordination Centre, che smista l’appello alle navi delle ong in attività. La seconda variante è di imbarcare i migranti su navi–madri che, al limite delle acque territoriali italiane, li calano su “barchini”, ben difficili da individuare.

Se si ritorna al nostro “precedente” del Gip di Agrigento, ne seguirebbe che ogni nave è tenuta a salvare i naufraghi; che questa, di chiunque sia la proprietà e di chiunque sia la bandiera, ha diritto di sbarcarli in un porto sicuro, identificato sempre in Lampedusa, anche a costo di forzare il blocco, dandosi sempre l’esimente della necessità di farli scendere sul molo dell’isola. Visto tutto ciò, ne segue che l’Italia è costretta a prenderli tutti. Dopo di che si dovrebbe identificarli, esaminare le loro richieste d’asilo, perdere le tracce di quelli cui lo si nega, che ingrossano le nostre periferie o cercano di forare le nostre frontiere, per passare ad altri paesi preferiti, dove, una volta trovati, ci vengono rimandati debitamente sedati.

Certo si dice che l’Europa potrebbe ripartire gli arrivati, solo si dimentica che questo dipende dai singoli Paesi, che in larga e crescente maggioranza non li vogliono o fanno melina. Si dice, altresì, che si dovrebbe provvedere ai rimpatri, facendo accordi credibili con i Paesi che alimentano il flusso; solo non si ricorda che molti nascondono i documenti, rendendo difficile conoscere da dove vengono, e comunque vada, i rimpatri sono una scommessa affidata al futuro.

Grande clamore di trombe da parte dell’intera opinione progressista, cui corrisponde un sonoro concerto di campane da parte di un Salvini, che nei sondaggi sta viaggiando verso il 40 per cento e sarebbe ancora poco. Si sostiene che l’elettorato è un minorato che avrebbe bisogno di un tutore, solo che il tutore ideale, cioè il Pd, è letteralmente spaccato, tanto che Zingaretti si limita ad un commento fatto di niente, cioè che tutta la questione è stata inventata da Salvini per distrarre la gente dalla drammatica situazione del Paese. Ma quale dovrebbe essere la sua politica non lo dice, perché non lo può dire, essendo paralizzato dal conflitto interno. Peccato che il silenzio venga interpretato come una confessione di impotenza, che cioè non possiamo fermare una immigrazione alluvionale, come parecchi soloni sostengono; ma la politica non è fatta di rese incondizionate ad un ineluttabile indigesto alla maggioranza del Paese, ma di proposte concrete per evitare una inondazione tale da rimettere in discussione la nostra stessa identità di italiani e di europei.

Le due previsioni sopra evidenziate trovano conferma nei più recenti avvenimenti. L’ordinanza del Gip di Agrigento ha legittimato un flusso aperto di migranti secondo un continuum ben identificabile: scafisti, centro di ascolto volontario, posizionamento delle navi delle ong, proseguimento a tutta forza verso Lampedusa, di cui violare apertamente il porto a dispetto di diffide e di presenze delle navi della Guardia Costiera. Tant’è che dopo la chiusura del caso Sea Watch, ecco in dirittura di arrivo la Alex Mediterranea, nave a vela e di poca portanza, questa volta battente bandiera italiana, che è riuscita a imbarcare un giornalista de La Repubblica e un deputato della sinistra prima ancora di partire, certa di poter trovare un gommone pieno di migranti in un punto preciso del mediterraneo.

A sua volta il Pd si è traumaticamente e pubblicamente spaccato dividendosi sul voto per il rinnovo dell’accordo con la Libia, con la sua “sinistra” critica all’eccesso e la sua “destra” silente o parlante a mezza voce. Come prima ancora nelle peste il nostro magnifico Zingaretti che cerca di ricomporre una mela ormai chiaramente tagliata a metà.

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