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Le acrobazie poco rassicuranti di Arcuri sul vaccino e di Crimi sul Mes. E meno male che “abbiamo a cuore la serietà”…

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Dopo aver seguito Mezz’ora in più di Lucia Annunziata su RaiTre, mi è venuto naturale sbottare con una battuta, variante del titolo di un famoso film: “Non ci resta che ridere”. Non che il primo intervistato, l’onnisciente e onnipresente commissario, uno e trino, Domenico Arcuri, apparisse al di sotto del suo ruolo, tutt’altro, sicuro e ottimista, dallo sguardo fermo e dall’eloquio tranquillo, nel delineare l’elefantiaco piano della vaccinazione di 60 milioni di italiani, da mezzo gennaio a settembre, a quanto sembra ritenendo che, pur essendo la vaccinazione non solo gratuita ma anche volontaria, l’intera popolazione sia pronta e disponibile a farsela fare.

Solo che, per quanto Arcuri ripetesse che l’inizio era condizionato dal semaforo verde dato ai vaccini dalla l’Agenzia europea e dalla Agenzia italiana del farmaco, pareva dare per scontato che il primo a essere disponibile sarebbe proprio quello della Pfizer, tanto da soffermarsi sulla conservazione e circolazione di fiale da mantenere ad una temperatura di 70/80 gradi sottozero. Bene, ma questo faceva supporre che fosse convinto del fatto che sarebbe proprio questo vaccino quello con cui partire, facendo cadere nel ridicolo tutto quel clamore sollevato nei confronti dei nostri amici inglesi, per essere stati precipitosi e imprudenti, mentre da buoni europei, noi aspetteremo pazienti la fine di un lungo percorso burocratico, capace di garantirci un vaccino sicuro ed efficace, con tanto di bollo e controbollo, se pur a costo di un inizio ritardato. Siccome alla fine sarà proprio il Pfizer a tagliare per primo il traguardo anche nell’Ue, tutto si risolverà nella perdita di un paio di mesi, che contabilizzati in ricoveri e decessi avranno un costo assai alto, nel mentre i vaccini russi e cinesi invaderanno Asia, Africa e Sud-America, rendendo del tutta vacua la nostra preoccupazione solidarista di farcene carico in prima persona.

Il bello, però, è venuto col secondo interlocutore, il capo pro-tempore dei 5 Stelle, Vito Crimi, che tanto per evidenziare quanto sia compatto il movimento, ci ha anticipato il prossimo passaggio ad un direttivo collegiale, per cui a parlare con tono quasi ufficiale saranno in molti, fatto che di per sé pare evidenziare più che ammortizzare le diverse anime. Che ce ne siano molte, pare confermato dall’essere in corso la riunione di circa sessanta parlamentari, tutti i presidenti delle Commissioni più i capigruppo di Camera e Senato, per mettere a punto una mozione di approvazione della relazione di Giuseppe Conte sull’adesione italiana alla riforma del Mes, il cosiddetto Fondo salva-stati. Una impresa tutt’altro che facile, perché ancora una volta l’alternativa è salvare il governo o salvare la faccia, ma avendola già persa in precedenza sulla riscrittura dei decreti sicurezza, con la scusa platealmente falsa di essersi limitati ad accogliere i rilievi del presidente della Repubblica, non sembra esistere una tale preoccupazione neppure questa volta.

L’argomentazione svolta da Crimi a fronte di una Annunziata particolarmente remissiva, mi è apparsa ridicola, forse solo per non trovarla patetica, una impacciata auto-difesa, con una contraddizione ricorrente, più percepibile quanto più occultata. Premessa ormai del tutto scontata è la trasformazione del movimento in partito, anche se questo termine esorcizzato per lungo tempo non viene pronunciato, all’insegna di una acquisita responsabilità di governare il Paese in una situazione di grave crisi epidemica, sociale, economica. Ne segue la necessità di sostenere un presidente del Consiglio di propria emanazione, così come la maggioranza dei ministri, di fronte ad una Unione europea che ha dimostrato di cambiare marcia, con una apertura senza precedenti all’Italia, quale espressa da un Recovery Fund, una dote a nostra disposizione di più di 200 miliardi. Crimi non lo dice, perché dà per già avvenuto l’esito positivo del voto del prossimo 9 dicembre; ma dietro è fin troppo facile immaginare lo sfondo su cui si muove, quello tambureggiato da tutti i mass media, con interviste all’individuo “responsabile” per antonomasia dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, nonché ai leader delle altre forze di maggioranza, a cominciare da Nicola Zingaretti. Un duplice memento destinato a suonare funereo agli orecchi di molti, fatto circolare sapientemente quale deterrente per una eventuale bocciatura della relazione di Conte: il presidente della Repubblica sarebbe determinato a sciogliere il Parlamento, mandando il Paese a votare con l’attuale legge elettorale, dato che i collegi sono già stati individuati; l’Ue sarebbe incline a modificare il suo atteggiamento favorevole nei nostri confronti, con una grave ricaduta, se non sulla attribuzione, certo sulla gestione del Recovery Fund.

Alla fine, però, Crimi non ce la fa più, dopo aver enfatizzato l’impegno della Commissione costituita per redigere la mozione favorevole alla relazione di Conte, sembra quasi sbottare, lasciando intendere che si tratta solo di parole, una in più una in meno non fa differenza, l’importante non è quel che vi sarà scritto, anche fosse una adesione incondizionata alla riforma del Mes; l’importante è il sentimento profondo e irreversibile dei 5 Stelle che questo Parlamento non farà mai ricorso al Mes, che, fra l’altro, come modificato, è ancor più pericoloso di prima. Certo, a sentirlo, sarebbe meglio renderlo esplicito tale sentimento, ma forse anche al nostro Crimi questo risulterebbe un po’ troppo contradditorio, ma soprattutto inaccettabile da Pd, Italia viva e Leu, e certo per niente gradito dalla Ue.

Nello spegnere la televisione, mi è rimasta una certezza, nella difficile transizione da movimento a partito, certo tale da richiedere un non breve periodo di tempo, i 5 Stelle non potranno fare a meno della loro attuale dirigenza politica. Sì che, a furore del popolo che sarà rimasto fedele, dovranno fare il sacrificio di eliminare il vincolo del doppio mandato, anche se molti saranno chiamati ma pochi gli eletti nelle elezioni del 2023 (?), con buona pace del movimentista d’annata, Alessandro Di Battista.

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