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L’ebbrezza del potere comincia a prevalere sulla lotta concreta al virus: l’esperimento carcerario di Stanford

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È chiamata “Fase 2” quella che dovrebbe avviarsi il 4 maggio. Tuttavia, se si esaminano effettivamente i contenuti annunciati dal premier Giuseppe Conte, quello che appare è che ci troviamo, piuttosto, nel secondo tempo della “Fase 1”.

Sulla base delle restrizioni che continuano ad essere previste, il Paese resterà, a tutti gli effetti, in un regime di lock-down.

La sensazione è che Conte si sia limitato a mettere sul campo alcuni rilassamenti delle regole sostanzialmente simbolici, per “vendere” agli italiani che ci troviamo all’interno di un “processo gestito” di cui il governo ha il controllo.

Si consente l’accesso ai parchi per dare il segnale che non c’è niente di cui preoccuparsi, che basta aspettare e, pian pianino, si è “premiati”.

In realtà, dietro la retorica trionfante e i capelli ben messi in piega, il discorso di Conte è stato sostanzialmente vuoto di veri contenuti e tristemente rivelatore dell’inadeguatezza della strategia messa in atto. Il governo italiano, allo stato attuale, non ha nessuna freccia al proprio arco che non sia la mera continuazione del lock-down. Rimanere chiusi in casa e sperare che a un certo punto avvenga qualche “miracolo”.

È evidente che con queste regole, nessuna ripartenza dell’economia è possibile. Se negozi e grandi magazzini restano chiusi, se non si può uscire liberamente, come può ripartire la domanda?

E per di più, se davvero si vorranno imporre severe regole di distanziamento sociale nei bar o nei ristoranti, come si può pensare che restino economicamente praticabili, quando già adesso, in molti casi, operano con margini molto bassi?

Il governo non sembra avere nessuna vera risposta a queste domande e pare affidare totalmente le possibilità di ripartenza alla sola iniezione pubblica di liquidità.

Ma c’è un altro messaggio che si coglie decriptando il discorso di Conte ed è il carattere sempre più autoritario dell’attuale fase politica.

Chiunque si trovi in posizione di potere in questo momento – politici, burocrati, “esperti” e semplici “esecutori” – sembra entrato in una bolla di onnipotenza dall’alto della quale si sente titolato a progettare a tavolino la vita degli individui.

Tra i tanti aspetti legislativi di questo Dpcm, spicca ad esempio la pretesa del governo di poter decidere quali sono le relazioni affettivamente più importanti nella vita di una persona.

Ma sono state tante le dichiarazioni che, in queste settimane, ci hanno dato la misura di quanto ormai si sia entrati nell’ottica di poter gestire la società con la stessa logica con cui si stila un regolamento carcerario o il set di regole di un gioco da tavolo.

Per il viceministro della Sanità Sileri, si può fare jogging, ma “per non più di quaranta minuti”. Secondo una “chiarificazione” del governo di questi giorni, è ammesso fare il bagno “se si abita a meno di 200 metri dal mare”. Per il sottosegretario alla presidenza dell’Emilia Romagna Baruffi, poi, le attività sportive all’aperto sono state vietate non perché a rischio, ma per “dare il senso di un regime molto stringente”.

Si capisce bene che siamo entrati, almeno in parte, in una dimensione che non ha a che fare strettamente con la lotta al coronavirus, ma che riguarda, piuttosto, dinamiche (degeneri) di psicologia sociale.

Senza nemmeno voler supporre una malizia di fondo, chiunque abbia in mano – o percepisca di avere in mano – un minimo di potere sulla vita del prossimo sta cominciando, anche inconsapevolmente, ad apprezzare il piacere del micromanagament e l’ebbrezza del poter concedere e togliere, di poter premiare o a piacere punire anche per puro e insindacabile arbitrio.

E a fare da contraltare a questa dinamica di potere, i sudditi entrano in una condizione di progressiva accettazione e rassegnazione.

Nel 1971 l’Università di Stanford condusse un esperimento che consisteva nel dividere un certo numero di volontari in due gruppi, uno di secondini e uno di prigionieri, e simulare la vita di un carcere.

L’esperimento ebbe esiti drammatici, in quanto mostrò che chi era stato assegnato come carceriere, nel giro di un tempo assolutamente breve, aveva maturato atteggiamenti autoritari e afflittivi – mentre i detenuti divenivano vieppiù docili. Non erano caratteristiche scritte nel Dna, in quanto l’assegnazione ai due gruppi era stata casuale. Tuttavia la sola percezione del potere – del potere sugli altri – si era mostrata in grado di modificare sostanzialmente l’atteggiamento di una persona.

In questa fase sembra, per molti aspetti, di assistere a un gigantesco esperimento di Stanford, con uomini – il nostro premier in testa – finiti in posizione apicale in buona parte per una bizzarria della sorte che si vedono attribuito un potere che non ha avuto eguali negli ultimi 75 anni. E che dal fascino inebriante di questo potere stanno venendo sempre più conquistati. Mala tempora currunt.

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