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Legalità, legalità, legalità! Ma a targhe alterne…

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Legalità, legalità e legalità. Non ci siamo dimenticati la sinistra antiberlusconiana che era pronta a stracciarsi le vesti per le bricconate del Cavaliere. La legge e l’onestà come unici valori dell’agire politico. Tutto ciò che violava minimamente questi princìpi andava condannato senza se e senza ma. Andava. Perché se la legge, voluta dal “criminale” Salvini (ministro legittimato a governare) e controfirmata dal presidente della Repubblica, non piace, essa può passare in secondo piano. La legge, sì proprio lei, può essere violata. La si può infrangere senza grossi patemi. I sindaci possono agire come più gli piace contravvenendo a quella che fu la sacra legalità. Il tutto ignorando la firma di Mattarella e parlando di legge fascista. Non considerando che un aggettivo del genere avvicina pericolosamente il tanto elogiato presidente della Repubblica a Vittorio Emanuele III. Una follia.

La vicenda lascia attoniti e suscita alcune domande: che concezione della legalità hanno De Magistris (ex magistrato) e Orlando, che con la Rete voleva riportare l’onestà nella Prima Repubblica? E che ne è del senso delle istituzioni?

Salvini è stato aspramente criticato perché porta di continuo la divisa della polizia e per gli eccessi culinari sui social. Giusto. Un ministro dovrebbe limitare determinati contenuti nella sua comunicazione e focalizzarsi più sulla sua attività istituzionale e meno sulla ricerca del consenso. Come peraltro ha iniziato a fare dopo le feste. Ma chi vorrebbe violare o chiede di infrangere le leggi dello Stato ponendosi contro il ministro degli interni non dovrà essere altrettanto biasimato? O tutto gli è concesso perché le leggi sono state pensate dall’odiatissimo Salvini? Il doppiopesismo non regge. La legalità e il senso delle istituzioni dovrebbero valere sempre e comunque. A destra e a sinistra. Tra i populisti e gli antipopulisti. Se invece funzionano a targhe alterne e sono strumentalizzabili, tutto diventa lecito e si scivola nel caos.

In tutta questa diatriba, insomma, manca la sacrosanta distanza tra la propaganda elettorale e le istituzioni. L’amministrazione richiede serietà e adesione allo Stato e alle sue leggi. Tutto ciò, lo ripetiamo ancora, vale per Salvini ma dovrebbe valere anche per i sindaci ribelli.

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