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L’ingerenza della Russia nelle elezioni occidentali: timori fondati o bolle mediatiche?

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Novità dall’inchiesta Russiagate. Leggendo il documento dell’incriminazione di aziende e individui della Federazione Russa, per interferenze indebite nel processo elettorale americano, apprendiamo con grande stupore che il Cremlino appoggiasse Bernie Sanders. Assieme a lui erano favoriti anche altri movimenti di estrema sinistra, come le redivive “Pantere Nere” e anche un movimento musulmano di sinistra, gli United Muslims for America. Ma non si era detto che i russi appoggiavano Donald Trump? Anche. E quindi?

Ora si parla, anche in Italia, di una campagna di influenza occulta, orchestrata dal Cremlino, per sostenere la Lega e il Movimento 5 Stelle. Dunque due schieramenti diversi e non alleati. E gli elettori iniziano ad annusare il bluff: e se fosse solo tutta una gigantesca bolla mediatica, gonfiata da una classe dirigente della sinistra che non sa perdere? Torna alla mente quel che si diceva della Mafia ai tempi di Sciascia: se tutto è Russia, niente è Russia.

La realtà sta nel mezzo. Nel senso che le influenze della Russia ci sono, il Cremlino è maestro nel gioco della “guerra ibrida”, ma l’allarme è fondato a Oriente, mentre a Occidente abbiamo poco o nulla da temere. Prima di allarmarci dobbiamo infatti chiederci: fino a dove possono spingersi le divisioni corazzate russe? Non essendo più una potenza mondiale, bensì una media potenza regionale, la Russia ha interessi sui suoi vicini, che possono tradursi anche in appetiti espansionistici. I primi ad essere esposti al pericolo di un’ingerenza russa, anche militare, sono i paesi del cosiddetto “estero vicino”: le repubbliche ex sovietiche. La Georgia e l’Ucraina sono gli esempi più eclatanti: la Russia ha risposto alla crisi dei governi filo-Mosca locali con interventi militari. Queste guerre sono state precedute da una costante e prolungata opera di destabilizzazione politica, fatta di propaganda, creazione di blocchi politici eversivi e sostegno a cause separatiste locali, soprattutto in regioni russofone o semplicemente nostalgiche dell’Urss come Abkhazia, Ossezia del Sud, Donbass e Crimea. Di modo che l’intervento russo è giunto come il culmine di una vera e propria guerra civile, eterodiretta dal Cremlino, ma condotta da forze locali. Questa è la “guerra ibrida”: un conflitto combattuto con le armi della sovversione politica, prima ancora che con le divisioni corazzate.

Al di fuori del perimetro dell’ex Urss, quanti paesi rischiano di rimanere vittime della guerra ibrida? Ci sono luoghi dell’Europa e dell’Asia che sono direttamente esposti. E’ il caso di Paesi Baltici, Finlandia, Svezia, Danimarca e Polonia a Nord. Mentre nel Sud dell’Europa, sono più esposti i Balcani orientali (Bulgaria e Romania) e occidentali (Croazia, Serbia, Bosnia, Macedonia, Montenegro, Kosovo, Albania). La Russia, con la guerra in Siria, ha dimostrato di possedere ancora una certa capacità di proiezione di potenza in un’altra area di intervento della vecchia Urss: il Medio Oriente. In queste regioni, fatte oggetto, non solo della propaganda russa, ma anche di esercitazioni militari sempre più aggressive, il timore delle ingerenze di Mosca è fondato, perché può essere preludio di una guerra vera e propria. E’ fondato il sospetto che Mosca abbia tentato il golpe in Montenegro nel 2016, che tuttora soffi sul fuoco della minoranza serba in Kosovo e Bosnia, che manipoli politicamente le forti minoranze russe in Estonia e Lettonia, che intimidisca giornalisti di inchiesta in Finlandia. A mali estremi, estremi rimedi: anche se la limitazione della libertà di espressione è sempre un male, è per lo meno comprensibile che i governi di questi paesi prendano provvedimenti come l’oscuramento di siti, la chiusura di account, l’arresto e l’espulsione di agenti filo-russi. Fa parte del gioco della “guerra ibrida”.

Per quanto riguarda l’Occidente, però, qualcuno seriamente teme di vedere i parà russi lanciati sul Regno Unito? O le divisioni corazzate che entrano a Berlino? O i cavalli dei cosacchi che si abbeverano in San Pietro? Se questi scenari erano possibili (anche se sottovalutanti colpevolmente) durante la Guerra Fredda, ora sono impensabili. La Russia non ha neppure la capacità militare per attuare piani di invasione dell’Europa occidentale, né un’ideologia universalista (quale era il comunismo, a suo tempo) per tentare di rovesciare governi occidentali e insediare i propri. I russi dispongono di armi nucleari che possono colpire e distruggere tutto il mondo, ma a meno di non abbracciare una filosofia suicida, le terranno come deterrente.

A cosa serve, dunque, una campagna costosa per influenzare le elezioni in Occidente? Ha l’unico fine di favorire candidati e partiti critici nei confronti della Nato e favorevoli agli interessi russi, indipendentemente dalla loro ideologia, anche se fra loro sono su sponde opposte. Ai russi interessa avere degli interlocutori che mantengano la neutralità in caso di guerra fra la Russia e i suoi nemici regionali, che firmino contratti con le aziende di Stato russe e siano buoni clienti. Detto così, fa meno paura? Sì, giustamente. Perché siamo, non nell’ambito della “guerra ibrida”, ma di quello classico della propaganda. Gli “influencer” russi sponsorizzano i candidati più favorevoli alla Russia. Sta poi all’elettore decidere chi votare, liberamente. Anche, perché no, ascoltando la campana russa, che magari a volte ha qualcosa di interessante e intelligente da dire (specie su radicalismo islamico e immigrazione). Se iniziassimo ad auto-censurarci per paura di fare il gioco della Russia, allora sì che avremmo perso un pezzo della nostra democrazia.

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