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Contro lo stato-imprenditore sulla rete Tim e sul resto…

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Bene ha fatto La Verità nei giorni scorsi, in un ottimo articolo di Claudio Antonelli, a usare le due paroline magiche (“Piano Rovati”) che tanti sussurravano ma che pochi osavano mettere nero su bianco. In realtà, si tratta di un’evidenza difficile da nascondere: la sempreverde tentazione interventista dello stato, l’idea di una gestione pubblica (traduzione in italiano: politica) delle reti, di una nuova Iri senza Beneduce ma al massimo con i soliti boiardi reclutati nei dintorni di Capalbio o su qualche spiaggia nuova o seminuova.

A ben vedere, ci sono almeno tre buone ragioni liberali e pro-mercato per sollevare dubbi sulle grandi manovre in corso sulla rete Tim da parte di Cassa Depositi e Prestiti.

Primo. Cdp ha come missione il buon uso del risparmio postale degli italiani. Troppo spesso lo si dimentica, e si pensa di reinventarla come cassaforte per scorribande da stato imprenditore. Ma sono essenzialmente i soldi di pensionati e minirisparmiatori: sarebbe il caso di tenerlo a mente.

Secondo. Già in altro ambito (penso all’attivismo Enel-Cdp-Open Fiber sul tema della banda larga) si sta correndo il rischio di indicare un obiettivo teoricamente desiderabile (la banda larga ultraveloce, appunto), sottovalutando però il fatto che occorrerebbero tempi biblici e investimenti enormi per una copertura integrale del Paese, e che nel frattempo potrebbero essere sciupati alcuni miliardi dei contribuenti italiani. Il rischio di una “Salerno-Reggio Calabria versione 2.0” non può essere sottovalutato. E c’è già qualche “vocina” (accompagnata da qualche “manona”) che pensa alla fusione tra rete Tim e Open Fiber.

Terzo. Prego i lettori di dimenticare (comunque ognuno la pensi) la contesa in corso tra Vivendi e Elliott. L’unica cosa che uno stato liberale dovrebbe dire è: “Vinca il migliore”. Senza parteggiare, senza fare sgambetti o assist agli uni o agli altri. Per carità, nessuno vuole travestirsi da Cappuccetto Rosso o da Biancaneve, da falsi ingenui: comprendiamo bene la partita politica e imprenditoriale in corso. Ma a maggior ragione sia i politici sia gli imprenditori (due mestieri diversi, giova ricordarlo) dovrebbero valutare il rischio non di vincere, ma di perdere la partita a causa dell’intervento dell’arbitro (lo stato). È la vecchia storia ben nota agli appassionati di calcio: occhio a festeggiare per un eventuale calcio di rigore dubbio fischiato a proprio favore, se poi, nell’azione successiva (nel nostro caso, per un cambio di maggioranza o di “atmosfera” politica) può essere la tua squadra a subire un ingiusto rigore contro.

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