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Intelligenza Artificiale e stupidità naturale

Non cadere nel tranello di ritenere che l’AI possa in tutto e per tutto sostituirsi all’uomo, cui è ancora riservato il privilegio del ragionamento

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In questi mesi, sempre più frequentemente si sente parlare di AI (Artificial Intelligence, o Intelligenza Artificiale). Il concetto teorico è semplice: si tratta di una procedura informatica basata su informazioni di base inserite nel computer e da questo elaborate in tempi brevissimi secondo i criteri della logica cibernetica.

L’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale è ormai diffusissimo, in molti campi ove vi siano degli elaboratori computerizzati. Come sappiamo, si va dalla scrittura di testi (la correzione ortografica automatica è una forma primitiva di AI) alla ricerca dei percorsi stradali ottimali sui navigatori GPS, alla meccatronica, alla medicina.

Il rapporto uomo-macchina

Per quanto il concetto stesso di AI possa essere ammissibile, ricordando che i computer sono stati inventati per collezionare, archiviare ed elaborare serie enormi di dati numerici, in quanto la macchina ha potenzialità di memoria enormemente superiori a quelle umane, non bisogna tuttavia cadere nel tranello di ritenere che la macchina possa in tutto e per tutto sostituirsi all’uomo; al massimo otterremo un robot. Anche sui robot, qualcosina da dire ci sarebbe, ma tiriamo avanti.

Già Galileo Galilei, intorno al 1630, s’occupò del rapporto tra le nuove scienze e l’impatto che queste, già all’epoca, ebbero sulla vita degli uomini. Ed innumerevoli sono gli altri esponenti massimi del pensiero scientifico che presero in considerazione il non facile rapporto uomo-macchina. Da Archimede ad Albert Einstein a Steven Hawking – quest’ultimo in particolare, grandemente ammirato dai nostri contemporanei e il cui pensiero è ampiamente riportato dai media in ogni salsa.

È vero: Hawking disse che “l’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento” e quindi accostare in concetto d’intelligenza (come l’intendiamo noi umani) all’elaborazione logica di serie quasi infinite di dati che solo la cibernetica permette, ha certamente un enorme impatto sociale e una valenza tutt’altro che trascurabile per “migliorare” la vita dell’homo informaticus.

Il privilegio del ragionamento

Ma è altrettanto vero che disse pure: “Ho raramente conosciuto un matematico che fosse in grado di ragionare”. Affermazione che, al di là del suo evidente tono satirico, dovrebbe fare riflettere anche e soprattutto i suoi più grandi estimatori, moltissimi dei quali, diciamolo, più affascinati dalla stupefacente capacità di resistere alla devastante malattia del grande astrofisico britannico che profondi conoscitori della sua opera scientifica.

Innumerevoli sono le applicazioni tecnologiche che dimostrano la possibilità pratica di affidare ad una macchina compiti troppo gravosi per l’uomo è ciò, dai primordi ad oggi, è parte integrante di quel progresso al quale tendiamo per natura, perché è nell’indole umana cercare ogni nuova soluzione tecnica per migliorare la nostra qualità della vita.

Ma il ragionamento, questa Cenerentola del pensiero umano che sempre più poniamo su un piano sottostante all’efficienza, vero tiranno condizionante le scelte dell’uomo del terzo millennio, rimane privilegio riservato ai viventi e Dio non voglia che sia mai altrimenti.

Gli adoratori dell’AI

Ciò che davvero preoccupa i non moltissimi che abbiano deciso di vendere cara la pelle, in quanto assediati dalle macchine, è l’impostazione mentale degli adoratori dell’Intelligenza Artificiale più assoluta ed assiomatica che vediamo dilagare.

Il problema sarebbe estendere l’utilizzo del “ragionamento” cibernetico (che, non lo si dimentichi mai, è costituito da serie di “uno” e di “zero”), assumendolo come inevitabile, più che alla valutazione critica (e la critica, perdonatemi, si spera che rimarrà prerogativa umana) dei dati che diamo in pasto alla macchina poiché questa li elabori per nostro conto e ci restituisca un comodo e sempre più veloce risultato finale.

In altre parole, riscontrando quanto entusiasmo susciti ogni nuova implementazione di AI, sembrerebbe che vi sia una sorta di obbligo etico ad avvalercene ad ogni costo, dando per scontato che la macchina sappia sempre fare, oltre che prima di noi, meglio di noi.

Progresso buono a prescindere

Viviamo il secolo (per quelli futuri si arrangeranno i posteri) in cui botti piene e mogli ubriache (figura retorica che presto sarà vietata perché in contrasto con le direttive europee sul consumo dell’alcol) si scambiano gioiosamente i rispettivi ruoli, in un minuetto forsennato che suona malissimo e che davvero non aiuta a comprendere quando prevalga la botte e quando la moglie.

Con una leggerezza sconfortante, sono proprio gli stessi che ci dicono che “artigianale” è meglio che “industriale” e che il “bio” sarebbe meglio di “artificiale” a sospingerci sulla strada dell’Intelligenza Artificiale come soluzione perfetta alla fallacia umana e tutto ciò semplicemente perché “il progresso lo vuole”.

A parte il fatto che, semmai, se seguire il progresso dovremmo deciderlo noi e non viceversa, resta sempre la discriminante considerazione su ciò che sia definibile “progresso”, dato che tutto ciò che è legato ai computer sembra etichettato come buono e utile a prescindere, mettendo il nostro povero e sempre più disoccupato cervello nell’angolo, come il boxeur suonato che balza in avanti ad ogni suono che assomigli a quello del gong.

Come funziona ChatGPT

Ultima chicca (ma non certo per importanza): ho voluto provare l’attualissimo e celebratissimo sistema di ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer, traducibile in “trasformatore pre-istruito generatore di conversazioni”. Lo utilizzano milioni di studenti per le loro relazioni scritte e, persino, schiere di nuovi giornalisti e nuovi scrittori.

In sintesi, ChatGPT funziona in modo semplicissimo: s’immette una domanda (es. chi era Garibaldi?), al che la AI annidata nel server di chi fornisce tale servizio gratuito, fa una velocissima ricerca tra i miliardi di combinazioni possibili con i lemmi che costituiscono la domanda, li mette poi assieme con criterio “logico” e, in pochi secondi, fornisce a schermo un riassunto che costituisce la risposta alla domanda.

La valutazione critica delle fonti

Già su questo si potrebbe obiettare che sollevare lo studente dal ragionamento che deve legare tra loro in modo sostenibile le informazioni che lo stesso ha estrapolato dalla consultazione dei libri (ma anche sul web, ammettiamolo pure) è sbagliatissimo. Intanto, manca quella che gli avvocati definiscono “collazione”, ossia il confronto tra più documenti originali e le loro copie, insostituibile proprio nel caso del web, in cui un eventuale errore di copia-e-incolla si propaga all’infinito, riportando, in buona sostanza, informazioni palesemente errate.

Manca altresì la valutazione critica delle fonti: chi ci garantisce che il ragionamento della AI non abbia seguito una strada che, per quanto presente sul web (a cui unicamente ChatGPT fa riferimento) non sia stata originariamente viziata da orientamenti ideologici, personali, incompleti?

Un conto è compulsare diversi libri o articoli di stampa, metterli in relazione con ragionato senso critico e “cavarne il succo” prima di scriverne; ben altro conto è commissionare al pc tutto il lavoro di studio e ricerca, coi risultati che io stesso ho potuto constatare di persona facendo domande sul mio conto in GPT.

Una prova pratica

Non soltanto ciò che del sottoscritto si trova in rete è stato ”mixato” in modo bizzarro coi curricula di persone con il mio stesso cognome ma, e qui sta il lato comico, ho scoperto che un tizio che GPT dice essere me, a vent’anni era laureato con laurea magistrale, ha avviato uno studio professionale, che io stesso mi sarei laureato all’Università di Torino (e non nell’amata Genova), che sarei un docente universitario (esperienza che mi manca), che avrei scritto un libro (probabilmente più letto dei miei) che non ho affatto scritto e che, udite udite, i veri titolari delle cariche erroneamente attribuite da GPT a me non esistono affatto e men che mai sul web.

D’accordo, non mi chiamo Steve Jobs o Diego Armando Maradona, ma rispondere tante cretinate in pochi secondi non mi pare un balzo in avanti per la civiltà.

Sarebbe possibile, e chiedo solo per me, essere ancora ignorato dalla AI per qualche anno e lasciarmi libero di farmi i sacrosanti e deliziosi cavoli miei? Se farò domanda specifica ne riparleremo, ma, nel frattempo, sono autorizzato a non sbavare per il sistema GPT e per la AI in genere?

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