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Non sono profughi ma emigranti illegali: la distinzione che fa comodo eludere e il pregiudizio anti-occidentale

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In Italia – quante volte ancora bisognerà ripeterlo! – arrivano per lo più cittadini extracomunitari che si sono serviti di organizzazioni criminali per viaggiare clandestinamente, che sbarcano senza documenti e, per non essere bloccati e respinti, usano il collaudato espediente di chiedere asilo dichiarandosi profughi senza esserlo, approfittando del fatto che la Convenzione di Ginevra sui rifugiati impegna gli stati contraenti, tra i quali figura l’Italia, a non respingere chi cerca di sottrarsi espatriando a minacce alla vita e alla libertà e a non applicargli le sanzioni penali previste per l’ingresso o il soggiorno irregolare.

Dall’inizio dell’anno le richieste di asilo accolte in Italia sono circa l’11 per cento di quelle esaminate. In passato sono state nettamente di meno. Nel 2016, ad esempio, l’anno in cui sono state presentate più richieste di asilo, l’Italia ha concesso lo status di rifugiato a 4.940 persone, il 5,4 per cento dei casi esaminati, il 2,7 per cento del totale degli arrivi illegali in quell’anno. L’Ue ha istituito una forma ulteriore di protezione internazionale chiamata “sussidiaria” per chi si trova al di fuori del proprio Paese di origine e non può tornarci “per il rischio effettivo di subire un grave danno”. Anche così la percentuale di persone che davvero arrivano in Italia per sottrarsi a situazioni di estremo pericolo resta bassa. A giugno, ad esempio, sono state esaminate 2.359 richieste di asilo. 1.906 sono state respinte, l’81 per cento. Hanno ottenuto lo status giuridico di rifugiato il 12 per cento dei richiedenti, protezione sussidiaria il 6 per cento e “protezione speciale”, un istituto esistente solo in Italia, l’1 per cento.

Sono emigranti illegali, non profughi. La distinzione non può sfuggire. Eppure viene sistematicamente elusa. Lo ha fatto giorni fa la Commissione europea quando si è intromessa nello scontro tra Governo e Regione Sicilia ammonendo, in merito allo sgombero dei centri di accoglienza dell’isola ordinato dal governatore Musumeci il 22 agosto, “che tutte le azioni intraprese devono rispettare gli obblighi delle leggi sull’asilo dell’Ue e internazionali”.

Se la Commissione europea raccomanda correttezza fingendo di non sapere che semmai in Italia le leggi sull’asilo sono violate perché, come è noto, si concede protezione internazionale impropriamente persino a persone che raccontano storie di traversie del tutto inverosimili, la Caritas Diocesana di Palermo il 22 agosto, in un comunicato greve di avversione contro l’Occidente, ha accusato il governatore Musumeci addirittura di negare “il diritto alla mobilità” e di aver scelto “la via mistificante di una nuova cosciente discriminazione”.

“Se coloro che provengono dai Paesi del Nord del mondo, interessati fortemente dal coronavirus, possono muoversi ed entrare liberamente in Sicilia, perché i migranti no? Al contrario, quanti provengono dai Paesi del Sud del mondo, quanti sono sottoposti giornalmente allo sfruttamento dell’Occidente, quanti hanno ‘ricevuto’ il Covid dal Nord del pianeta, come una ennesima piaga, costoro no, non possono muoversi liberamente: rappresentano un pericolo sanitario. I poveri sono dunque pericolosi, devono essere discriminati”.

È difficile credere che la Caritas sia in buona fede, che davvero non faccia differenza tra gli ingressi legali (degli stranieri che arrivano con passaporto e visto) e quelli illegali di chi i documenti li butta via; che davvero sia convinta che il Covid-19 sia una “ennesima piaga” diffusa dal “Nord del pianeta”. Il messaggio – una sintesi del consueto repertorio di false accuse – è chiaro: l’Occidente sfrutta il Sud del mondo, infligge ai suoi abitanti le piaghe della fame, delle malattie e delle guerre, è giusto quindi che le vittime pretendano a risarcimento di trasferirsi in Italia.

Non c’è dubbio poi che la Caritas di Palermo mente quando, nello stesso comunicato, esorta a spostare l’attenzione dai disagi dei siciliani allo stato e al destino degli emigranti “in fuga dalla fame e dalle guerre, che concludono in Sicilia, in maniera indegna, un lungo esodo in cerca di libertà e di vita buona”. Non solo nessuno degli emigranti illegali fugge dalla fame e assai pochi dalla guerra. Nel tentativo di toccare la corda dei sentimenti la Caritas evoca immagini di moltitudini di donne e bambini in cerca di scampo indegnamente accolti, quando è la prima a sapere che tra gli emigranti illegali diretti in Europa le donne e i bambini sono pochi: quelli che chiedono asilo in Italia, negli anni scorsi circa il 15 per cento del totale.

La rivista dei missionari comboniani Nigrizia ha organizzato per il 28 agosto una giornata di digiuno contro il governatore della Sicilia Musumeci e contro “i continui massacri di migranti nel Mediterraneo”: “E se fossimo noi ad affogare?”, lo slogan. Hanno risposto all’appello una decina di sacerdoti e religiose e una novantina di associazioni di area cattolica. Anche i Centri Astalli, sedi italiane del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, hanno aderito all’iniziativa. Qualche giorno prima, quelli di Palermo e Catania avevano diffuso una nota che contiene altre affermazioni clamorosamente false:

“Ci pare necessario ribadire che la vera emergenza è data dalle persone che muoiono nel Mediterraneo e dalle cause che li spingono a fuggire dai loro Paesi vessati da guerre, crisi umanitarie e gravi ingiustizie sociali. Oggi in Sicilia vediamo i danni provocati dal non aver investito in protezione, accoglienza e integrazione dei migranti”.

Per ospitare in dignità e sicurezza gli emigranti illegali che chiedono asilo l’Italia concede a tutti l’accesso ai servizi sanitari nazionali, la possibilità di lavorare e ha creato per loro un gigantesco, onerosissimo sistema di assistenza che provvede alle necessità degli utenti per anni, se necessario, inclusi quell’80 per cento ai quali alla fine sarà negata protezione internazionale per gli infondati motivi accampati; e che peraltro presentano ricorso dal momento che possono usufruire del gratuito patrocinio concesso dallo Stato: un servizio che da solo costa ogni anno ai cittadini italiani da 50 a 60 milioni di euro.

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