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Ora per la Lega di Salvini la sfida è trasformare il consenso in forza di governo senza snaturarsi

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Espugnata l’Umbria, roccaforte di tanti anni di malgoverno del centrosinistra, Matteo Salvini e la sua Coalizione degli Italiani sono ora nella posizione ideale per prefigurare il futuro governo del Paese. La pittoresca maggioranza giallorossa infatti mostra crepe inquietanti da più parti e non è detto che sopravviva all’approvazione della manovra – se non prima – o ai prossimi appuntamenti elettorali. Perdere l’Emilia a gennaio sarebbe una tragedia di proporzioni bibliche per gli eredi del Pci-Pds-Ds.

La Lega e gli alleati si preparano alla spallata finale a Conte e compagnia, anche per evitare un’opposizione che alla fine potrebbe rivelarsi comunque logorante. Molti commentatori si sono chiesti se la Coalizione degli Italiani sia pronta per la prova di governo dopo la decisione di abbandonare l’esecutivo da parte di Salvini lo scorso mese di agosto. Con i suoi sindaci, i suoi amministratori locali e le sue powerhouse venete e lombarde al nord, Salvini già governa in buona parte del Paese, con una presenza radicata sui territori e con un importante atout rispetto agli avversari: dove governa, generalmente la Lega viene riconfermata al potere. Lo stesso non si può certamente dire per i suoi competitor a sinistra e al centro (i 5 Stelle).

Ma la forte presenza in Comuni, Province e Regioni non è sufficiente per dare una marcata impronta a livello nazionale, dove il deep state, il parassitismo degli apparati burocratici e una fitta rete di relazioni diplomatiche e internazionali impedisce all’Italia da anni un reale cambiamento delle sue élites. La linea nazional-sovranista di Salvini e della Coalizione ha allargato il perimetro dell’azione della Lega, ampliando anche il consenso di un partito che aveva ereditato sull’orlo della sparizione. Dall’altro lato della medaglia c’è l’autonomia, il cui principio è lo stesso di quello sovranista: l’assunzione di responsabilità personali e collettive nella gestione della cosa pubblica.

Se un rinnovato patriottismo e un rinverdire delle battaglie storiche della Lega hanno galvanizzato sostenitori e potenziali elettori, il passaggio successivo per un partito che punta al 40 per cento dei consensi è quello, sempre delicatissimo, di trasformazione del consenso in proposta di governo. Proposte che alla Lega non mancano di certo: in materia di sicurezza, tasse, immigrazione Salvini e i suoi hanno dimostrato di portare avanti le loro battaglie su un modello politico molto vicino a quello delle destre conservatrici anglosassoni.

Proprio quello anglosassone sta diventando uno dei modelli prevalenti dell’attività politica della Coalizione. La riforma presidenzialista – e quella ancora più importante in senso maggioritario della legge elettorale – configurano la Lega come un movimento dal popolo, del popolo, per il popolo. Con il first-past-the-post gli elettori potrebbero finalmente votare il candidato che più preferiscono, mandare in Parlamento i vincitori e non più gli sconfitti, e avere un rapporto reale con il loro rappresentante sul territorio a Roma. Si tratterebbe di una svolta epocale, difatti osteggiata da buona parte dell’establishment.

Salvini in questo momento sta facendo quello che tutti gli uomini politici puntano a fare: aumentare il consenso. Per farlo dovrà aprirsi ulteriormente a nuove istanze, come dimostra l’intervista rilasciata al Foglio due settimane fa. Da movimento a partito di massa, da partito di massa a contenitore ma mantenendo sempre l’identità popolare e popolana delle origini. Se la Lega saprà gestire questo processo il nuovo governo nazional-sovranista-conservatore sarà presto realtà.

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