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L’ammucchiata lockdown e vigile attesa. Sciolto l’equivoco del “liberale” Calenda

L’accordo Azione-Pd spiana la strada all’ammucchiata con Di Maio e sinistra estrema. Unico scopo: disarticolare il centrodestra dopo il voto e maggioranza Ursula

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Come largamente previsto, e scritto anche su questi lidi nei giorni passati, l’accordo tra Partito democratico e Azione si è perfezionato: sorridenti e festanti, i maggiorenti di Azione, Pd e Più Europa si sono dati convegno alla Camera dove hanno discusso e poi approvato il tema programmatico della coalizione Frankenstein, il cui motto fondante, e l’unico momento di unione, sembra davvero essere ‘altrimenti arrivano le destre’.

Difficile stupirsi per un simile epilogo, e non poniamo limiti alla provvidenza, e al cinismo della sinistra, pronta potete giurarci a imbarcare a bordo di nuovo pure Giuseppe Conte: d’altronde c’è una parte non proprio minoritaria del Pd e Articolo Uno che rimpiangono la temporanea interruzione della splendida esperienza del “campo largo”, tutto bonus, sussidi e assistenzialismo di Stato.

Capolavoro di opportunismo

L’accordo tra Pd e Carlo Calenda, senza dubbio, è un piccolo capolavoro di semantica bizantina e di opportunismo strumentale, la cui unica risultante funzionale è lo sbarrare la strada alle barbariche destre: d’altronde, a leggerlo, è un testo piuttosto esplicito nella sua sostanziale e pragmatica vacuità, con un utilizzo accorto della cortina fumogena per dare a intendere ai meno accorti che non si tratta di una alleanza organica pure con Di Maio ed estrema sinistra.

A partire dal manicheo incipit sulla epocale scelta di campo, l’aria che tira diventa subito evidente: da un lato la luce della ragione, dall’altro lato la tenebra della barbarie.

I voti di Calenda per il governo Di Maio-estrema sinistra

Ma il capolavoro, lo accennavamo, è il nascondimento del boccone amaro del divenire stampelle per garantire l’elezione di Di Maio e dell’estrema sinistra.

Addirittura c’è un intero periodo dedicato a ricordare alle parti di evitare di candidare, nei collegi uninominali, e si tenga a mente questa specifica, figure divisive, indicando espressamente i transfughi da Forza Italia e gli ex grillini che potrebbero in apparenza urtare le reciproche sensibilità.

Chiaramente, ciò dovrebbe sottendere una specie di barriera protettiva atta a impermeabilizzare ogni singolo soggetto politico, come se questa alleanza-Frankenstein fosse composta da monadi capaci, nella loro autoreferenzialità, di non inquinarsi vicendevolmente con le ricette politiche, economiche e sociali dei poco graditi compagni di viaggio.

La realtà dei fatti è molto diversa da quella che gli strateghi del campo larghissimo vorrebbero lasciar intendere: la suddivisione di collegi tra Azione e Pd implica, fisiologicamente, il sostegno poi alla estrema sinistra e a Di Maio, che saranno posizionati in maniera strategica in quel 70 per cento di collegi di spettanza del Pd, oltre che nella restante parte proporzionale.

D’altronde, verrebbe da chiedere a Calenda cosa accadrebbe se per governare dovesse poi comunque appoggiarsi organicamente ai numeri di sinistra radicale ed ex 5 Stelle, che nei fatti il Pd sostiene senza tentennamenti.

Molto semplicemente, dovesse malauguratamente vincere questa ammucchiata divisa su tutto a parte il contrasto al centrodestra, se li ritroverà nella maggioranza in Parlamento e in quella di governo, entrati dalla finestra lasciata aperta dal Pd con cui lui ha siglato l’accordo, con sottosegretariati e posti di comando.

E metterebbero in piedi il governo del lockdown, del NIMBY, della vigile attesa, della tassazione estrema, della limitazione della disponibilità della proprietà privata. Una bellissima prospettiva, davvero.

Sciolto una volta per tutte l’equivoco Calenda

Nonostante sia una coalizione devoluta al mero giocare in difesa e al sabotare per quanto possibile la vittoria del centrodestra, un agglomerato multi-partitico strutturalmente incapace di sistematizzare un proprio programma sostanziale e di merito, il carrozzone della sinistra ha comunque delle coordinate ideologiche e concettuali assai similari quando ci si riferisce a coordinate negative e oppositive.

Quelle dell’antiliberalismo, del disfavore per la proprietà privata e per le logiche imprenditoriali, contro le libertà individuali, l’amore estremo per la tassazione sotto la dolce maschera della giustizia sociale e della redistribuzione delle risorse o della lotta alle ineguaglianze, per utilizzare il lessico dell’accordo.

D’altronde, l’accordo siglato scioglie una volta per sempre l’equivoco chiamato Carlo Calenda e il suo socialismo statalista che di liberale ha davvero pochino: perché, ricordiamolo, non basta ripetersi e rifriggersi il mantra autoconsolatorio del voler essere dei liberali, se poi sostieni le tesi enucleate nel volume “La libertà che non libera” e hai come responsabile, delegato e punto di riferimento in ambito sanitario Walter Ricciardi.

Ricciardi è la perfetta interfaccia tra lo statalismo sociale caro a una vasta parte del Pd, che evoca sempre maggiore tassazione per la erogazione di servizi sociali ‘gratis’ (dimenticando l’evidenza per cui mai nessun pasto è gratis), il sospetto nutrito contro la libertà individuale vista come caotica anarchia potenzialmente irresponsabile e la figura di Speranza, di cui è stato consulente e con cui condivide l’idea di un servizio sanitario nazionale ipertrofico e continuamente alimentato (indovinate come).

Condividere un consulente del genere, avere un così forte punto di contatto tra due visioni che pure si rappresentano a parole come distanti, se non antitetiche, è la migliore riprova della similitudine e della corresponsione d’amorosi sensi tra la sinistra radicale e lo pseudo-centro calendiano.

In questo senso quindi, sciolto l’equivoco, Calenda è tornato a casa: la casa della tassazione e del contrasto alla autodeterminazione imprenditoriale e individuale. Coerentemente con l’assunto per cui la libertà del singolo, in certi casi, diventa irresponsabilità.

L’equivoco dell’agenda Draghi

Ancora una volta, l’ammucchiata selvaggia composta a sinistra ha cercato di vendersi come ideale prosecuzione dell’agenda Draghi. Una idea bislacca, posto che diversi dei partiti che la compongono non solo non hanno mai condiviso le politiche di Draghi ma hanno delle loro agende che urtano frontalmente con le ricette draghiane.

In quale misura e maniera si possa sostenere che Fratoianni, Speranza e pure l’ala più statalista del Pd abbiano a cuore l’agenda Draghi, specie in chiave economica, è un mistero.

D’altronde, l’accordo, secondo alcuni, avrebbe il pregio di aver schiacciato e reso tendenzialmente inutili, in chiave strategica, la presenza dell’estrema sinistra e della listina dimaiana; in realtà, entrambi rimarranno funzionali e imprescindibili per lo scopo del Pd, che è la strutturazione di un coacervo capace di fagocitare integralmente anche il Movimento 5 Stelle.

In questo senso, l’ho scritto sopra ma è un punto che va ribadito, non si può obliare come siano forti le sirene interne al Pd stesso per la ripresa del concetto stesso di campo largo e per un dialogo non chiuso davvero nemmeno con Giuseppe Conte. Figuriamoci in questo quadro, quale sarà mai la nettezza della chiusura a queste ‘frattaglie’ (lessico calendiano di pochi giorni fa).

L’agenda Calenda

Nel tentativo di vendersi il collocamento centrista e liberale dell’accordo, e del posizionamento strategico di Azione, Calenda ha rimarcato come tutti i punti programmatici, dai rigassificatori alla revisione del reddito di cittadinanza, al posizionamento euro-atlantico della coalizione e dell’Italia, siano stati accolti.

Ma Calenda sa benissimo che il reddito di cittadinanza non potrà mai, fino a che tieni nella pancia della coalizione Speranza, Orlando e compagnia cantante, essere revisionato in maniera radicale e davvero efficace.

Stesso a dirsi per tutte quelle opere infrastrutturali che dovrebbero vincere le resistenze NIMBY; a Piombino, è andata in scena una commedia che coinvolgeva, contro il rigassificatore, mezzo arco costituzionale, con dentro pure il Pd con cui ha firmato ora l’accordo elettorale.

Non dimenticherei poi lo sbandierato collocamento in ambito euro-atlantico, quando c’è una parte della coalizione che invece guarda con una certa simpatia verso l’oriente misterioso e rosso della Cina.

Quella che emerge è una coalizione che sembra orientata in chiave solo negativa, protesa ad impedire il successo altrui piuttosto che riuscire a costruire qualcosa.

Le uniche coordinate comuni e gli unici punti di contatto dei partiti di questo schieramento sembrano essere quelli anti-liberali già duramente scontati e sperimentati nel tempo pandemico, quando il senso profondo di una ‘libertà che non libera’ lo abbiamo potuto dolentemente assaporare sulle nostre carni e sulle nostre menti.

L’unico vero scopo

La confusionaria Armata Brancaleone messa su a sinistra sembra avere un unico vero scopo, a parte quello già citato di sabotare la vittoria della destra: cercare di disarticolare il centrodestra, a urne chiuse, per mettere su una maggioranza Ursula, per un Draghi-bis pur in assenza di Draghi.

In questo schema, si tenterebbe l’operazione di una conventio ad excludendum nei confronti di Fratelli d’Italia e Lega, cercando di ‘catturare’ Forza Italia – come già fatto con Brunetta, Gelmini e Carfagna, divenuti ormai organici alla sinistra – e di attrarla nella sfera di influenza di una sinistra spacciata frettolosamente come responsabile e centrista, esibendo appunto Più Europa e soprattutto Azione come vessilli di garanzia del collocamento centrista della coalizione di governo.

Più pragmaticamente, la speranza di raggiungere un risultato tale da determinare la tendenziale ingovernabilità per uno schieramento solo segue un copione ben noto, e assai caro al Pd, che negli ultimi anni pur non avendo mai vinto alle elezioni ha comunque governato.

Proprio con la giustificazione della crisi economica, del Pnrr e della guerra, apparirebbe necessario assemblare un nuovo governo di ‘unità nazionale’ di cui il Pd vorrebbe atteggiarsi quale perno sostanziale.

Proprio per questo, diventa indispensabile per i partiti del centrodestra raggiungere risultati elettorali, e numerici in Parlamento, che rendano la loro presenza in seno a una compagine governativa del tutto imprescindibile.

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