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Quando usciremo dal lockdown ameremo le nostre libertà più di prima. Parla Mark Littlewood (IEA)

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Per la ripresa saranno essenziali deregulation e competizione fiscale e normativa tra Stati

Il libero mercato al momento sta affrontando alcune sfide formidabili, dalla ripresa dello statalismo fino alla recente pandemia del Covid-19 e al lockdown. Ho discusso dei rischi e delle opportunità presenti con Mark Littlewood, direttore generale dell’Institute of Economic Affairs.

ARIANNA CAPUANI: Quali sono i rischi e le opportunità per il libero mercato oggi?
MARK LITTLEWOOD: Nel lungo termine sono un ottimista, ma pessimista nel breve. In generale, il mondo sta diventando a poco a poco più aperto al libero mercato e alla libertà in generale, meno statalista e socialista. È il fattore più determinante della crescita economica negli ultimi 20-30 anni, in particolare per Cina e India. Nel mondo democratico, sembra invece che il processo si stia fermando. Non è un disastro, il Regno Unito cresce del 1,5 per cento l’anno, grosso modo la media Ue. L’Italia è in una situazione più problematica, ma se si guarda al mondo in generale stiamo ancora crescendo, anche se a un tasso deludente.

E com’era prevedibile, aumentano le richieste di più regolamentazioni, tasse più elevate e maggiore spesa. Non vale soltanto per il Regno Unito, ma per tutto il mondo occidentale, e questo mi preoccupa. Se arriviamo a una situazione in cui il 40 per cento del reddito nazionale è controllato dallo Stato, allora, la crescita sarà molto lenta. Ma altrove, nel mondo, c’è molto di cui rallegrarsi, Cina e India non sono democrazie liberali ma si stanno muovendo in quella direzione. Quindi, in generale il mondo procede bene, ma meno bene per quanto riguarda la sua parte più prospera: non in condizioni disastrose, ma non cresce come dovrebbe, e questo perché siamo diventati dipendenti da tasse elevate e spesa elevata. La quasi totalità dei dati empirici sembra suggerire che per massimizzare la crescita economica di un dato Paese (ovviamente ci sono altre cose da massimizzare, non intendo dire che la crescita economica sia l’unica cosa), il settore statale non dovrebbe superare il 20 per cento del reddito nazionale. Il mondo occidentale si sta avvicinando al 40 per cento. Ora si può anche pensare che una spesa elevata faccia cose meravigliose, ma quel che è certo, è che impedisce la crescita economica. Quindi, sono in un certo senso ottimista per le parti più povere del mondo, e abbastanza pessimista per la parte più ricca.

AC: Riguardo le tasse – per quale motivo il cosiddetto “triple tax lock” (blocco di Iva, imposta sul reddito e contributi per la previdenza sociale) non sarebbe sufficiente?
ML: Il cosiddetto triple tax lock per me riassume perfettamente il motivo per cui non mi fido dei politici quando si occupano di economia. In generale, quel che conta, e sto semplificando parecchio, è il totale delle tasse imposte dal governo, la porzione di reddito che prendono per sé. Probabilmente non ti importerà molto se sarà tassato il tuo reddito, la tua tazza di tè, il tuo cellulare, la penna o il tuo quaderno, ti importa davvero quanto del tuo reddito complessivo sarà tassato, e quindi ciò che i politici tendono a fare di questi tempi è fare promesse molto allettanti del tipo “ti promettiamo di non tassare la tua tazza di tè, anzi, diminuiremo le tasse su di essa”, ma certamente quello che non dicono è che aumenteranno le tasse su tutto il resto. Per quanto riguarda il triple tax lock, ovvero i contributi per la previdenza sociale, l’Iva e l’imposta sul reddito, probabilmente manterranno la loro promessa, ma non credo assolutamente che non cercheranno di tassarci ulteriormente. Se non possono toccare certe cose, allora aumenteranno le imposte sugli idrocarburi, sull’alcool o sugli immobili. Peggio ancora, nel processo il codice tributario diventerà ancora più complicato. Uno dei più gravi problemi del sistema tributario britannico non è tanto la pressione fiscale (per quanto al 35 per cento sia troppo elevata per i miei gusti), ma il fatto che sia incredibilmente complicato. Il codice tributario è di 21-22mila pagine, con un totale di 10 milioni di parole, ovvero più di quanto una persona normale legga in tutta la sua vita, senza contare che certamente non si legge come un romanzo.

Quando si promette di non aumentare l’imposta sul reddito, ci sarà comunque una qualche scappatoia che permetterà di eliminare qualche sgravio fiscale o una tassa sull’eredità che finirà per complicare il codice tributario. Quindi, anche se sono interessato alle promesse dei politici nel loro complesso, probabilmente non si possono impostare delle promesse su questo, e se vuoi che faccia una previsione, la porzione di reddito nazionale che lo stato si assicurerà a fine mandato potrà salire fino al 36, forse 37 per cento. Il fatto che abbiano promesso il triple tax lock mi è di ben poca consolazione, perché sono sicuro che troveranno un modo per tassarci ulteriormente. Una promessa seria sarebbe sull’intero carico fiscale, piuttosto che promettere di non aumenteranno le tasse su una tazza di tè, una tazza di caffè o un bicchiere d’acqua. Ma se vuoi c’è una ragione per essere un po’ più ottimisti, per quanto riguarda il Regno Unito, e forse altri Paesi occidentali, è che il governo sta tassando al massimo. In tutta la mia vita il governo non ha mai tassato oltre il 35 per cento. Se decidesse di voler tassare più di così, finirebbe col danneggiare l’economia in qualche modo, causando fuga di capitali, emigrazione, o prepensionamenti, quindi siamo più o meno al massimo della pressione fiscale. Ma se cercassero di aumentarla del 5 per cento, o del 10 per cento, allora sarebbero costretti a fare cose che i governi democratici non fanno, ovvero confische, nazionalizzazioni. Ma in ogni caso la promessa sulla tassa A quasi certamente significa aumentare la tassa B, ed ecco perché non mi fido del triple tax lock, perché chi è serio a mantenere o a diminuire la pressione fiscale lo farà a livello complessivo.

AC: Per quanto riguarda invece la deregulation, c’è qualche possibilità di riprendere il controllo?
ML: Per quanto riguarda le norme sono più ottimista rispetto alle tasse, questo governo tasserà e spenderà molto, ma non è niente di straordinario. “Take back control” è stato uno slogan popolarissimo ai tempi del referendum per Brexit che ha guidato l’approccio e le policy di governo. Se c’è una cosa su cui chi ha votato Remain e chi ha votato Leave era d’accordo, era sull’eccesso di regolamentazioni provenienti da Bruxelles: troppe regole stupide che ostacolano gli affari, che rendono difficile l’innovazione, e che sono soltanto caselle da spuntare e moduli da riempire senza alcuna utilità. Quindi, dal momento che tutti sembravano condividere questa opinione (ancora non ho incontrato nessuno che mi abbia detto che l’Ue sia una sorta di utopia da questo punto di vista), Brexit rappresenta l’opportunità di una deregulation almeno in alcuni settori. Se non lo faremo, allora aver lasciato l’Unione europea non avrà più alcun senso. Bisogna quindi essere pessimisti o ottimisti su questo? Dipende da quale regolatore si preferisce, il governo britannico o l’Unione europea, blocchi grandi o nazioni più piccole, non so. Ma credo che se si cerca un’area in cui potremo assistere a liberalizzazioni e alla rimozione di oneri normativi, quella sarà il Regno Unito dopo Brexit. Non so in quale area specifica avverranno, se nell’impiego, riguardo al tabacco, la protezione dei dati, ma credo che il governo troverà delle aree in cui deregolamentare, quindi, se sono pessimista sulle tasse, sono certamente ottimista sulla deregulation.

Credo nella presenza di poche barriere, sono molto liberale in materia di immigrazione e faciliterei in ogni modo i commerci tra Italia e Regno Unito, Regno Unito e Spagna e tutti gli altri, ma credo che sia molto importante che le nazioni competano anche sulle norme e le tasse, e credo anche che l’espressione spesso usata dalla Ue “vogliamo condizioni paritarie” sia pericolosa: nel settore privato li chiameremmo cartelli. Nello stesso modo in cui le società private competono sul prezzo e sulla qualità (la Coca Cola compete con la Pepsi in materia di prezzo, qualità e sicurezza e sulla rapidità delle consegne, non cercando condizioni paritarie), dovremmo cercare una competizione tra Gran Bretagna e Francia, e Italia, o tra Gran Bretagna e America, su chi ha le norme migliori, o le meno peggiori, e il regime fiscale migliore, o il meno punitivo. Il problema dell’Ue è che essa vuole lentamente assicurare che tutti si attengano alle stesse normative e allo stesso regime fiscale tra stati membri dell’unione e altri Paesi che commerceranno molto con la Ue, come il Regno Unito.

Credo invece che i Paesi debbano competere in questo senso per capire chi ha il sistema migliore, Italia o Regno Unito, Francia o Germania, Danimarca o Paesi Bassi, guardando alle giurisdizioni per comprendere se la strada è quella giusta o quella sbagliata. A mio parere, la competizione in materia di norme e tassazione è un elemento veramente essenziale per realizzare una giurisdizione ottimale, e Brexit consentirà questo processo all’interno dell’Europa. Credo che il Regno Unito realizzerà un sistema di regolamentazioni migliore per sé di quanto non avrebbe fatto all’interno dell’Ue, e forse gli altri stati dell’unione sceglieranno di imitarlo. Non vuol dire necessariamente che dovranno lasciare l’Ue, ma che impareranno dalle migliori pratiche. Credo che un’opportunità rappresentata da Brexit, non una certezza, sarà la competizione tra Regno Unito e Ue come strutture governative. Che vinca la migliore.

AC: Cosa pensi del crescente ruolo dello Stato nelle nostre vite, nell’attuale crisi del coronavirus? Cosa possiamo imparare da tutto questo?
ML: Ovviamente come liberista non mi entusiasma che lo Stato voglia dirci come vivere, ma non bisogna preoccuparsi eccessivamente di questo problema. Certamente il suo coinvolgimento è cresciuto notevolmente, ma solo in modo temporaneo. Nessuno dice che questo sia il futuro dell’economia globale nel lungo termine. Si tratta di misure drastiche, non credo certo che le misure imposte e l’aumento della spesa pubblica siano giuste, ma bisogna tenere a mente che sono per un tempo determinato. Costeranno molto, e il nostro debito, sia nel privato, sia nel pubblico, sta crescendo, e prima le nostre finanze non erano certamente in uno stato ottimale, non avevamo certo accumulato favolosi fondi sovrani. Stavamo già portando il debito e il deficit al massimo, ogni Paese sta cercando di resistere a un duro colpo, e la spesa del nostro governo sarà assolutamente colossale, mentre le entrate fiscali saranno al minimo probabilmente ancora per molto. L’economia non sarà di nuovo in perfetta salute a giugno o a luglio, e credo che questo sia la dimostrazione del fatto che il socialismo può essere applicato solo per un periodo determinato, non può continuare così per altri tre mesi, perché non ci sarà il denaro per farlo.

Detesto che lo Stato intervenga nelle nostre vite, ma credo anche che tutti diranno, una volta finita la pandemia, che questi mesi di lockdown sono stati tremendi, non si poteva uscire di casa o andare a lavoro, e questo è l’intervento dello Stato, abbiamo dovuto accettarlo per via di un’emergenza sanitaria. Vorrei restare ottimista su questo punto. Nessuno sta dicendo che la strategia attuale resterà in atto globalmente per il 2021 e il 2022, è solo una questione di poche settimane, forse pochi mesi, e quindi, quando tutto sarà finito, anche se il settore privato vedrà molte società fallire e un aumento del numero dei disoccupati (ma il settore pubblico non sarà in ottimo stato, anzi), sarà impossibile che qualcuno affermi che la policy corrente di un’elevata spesa pubblica sia quella giusta per l’Italia, il Regno Unito, la Francia o gli Stati Uniti, perché in quel modo dovremmo incrementare il debito ulteriormente. Le policy in atto al momento dovranno essere portare a termine presto, o il Paese andrà in bancarotta.

Quando le cose saranno tornate a poco a poco alla normalità, la gente non vorrà più ritornare al lockdown, a meno che non si presenti una seconda ondata infettiva, e quindi credo che la reazione delle persone comuni e delle imprese sarà un enorme sollievo, se non una vera celebrazione della ritrovata libertà. Le implicazioni del lockdown sono quindi terribili in termini economici e di libertà civili, ma una volta che saremo liberi di tornare a lavoro, o di farci una passeggiata al parco, o di andare al ristorante, la gente amerà queste libertà molto più di quanto non facesse sei mesi addietro. Forse quindi, la libertà di cui godevamo è veramente importante, qualcosa da amare e proteggere. Anche se la situazione è al momento drammatica, credo che la reazione sarà di tipo liberista, e quando avremo di nuovo le nostre libertà, le ameremo più di prima.

AC: E per quanto riguarda la burocrazia?
ML: Lo Stato sta aumentando di molto il suo potere e il suo intervento in economia. Ma ci sono anche aree in cui sta liberalizzando, per permettere all’economia di sopravvivere alla crisi. Ci sono alcuni buoni esempi nel Regno Unito, ad esempio abbiamo aumentato il numero di ore in cui in camionista può essere su strada. Secondo le leggi Ue dovevano essere non più di nove, ma adesso il limite è undici. Un’altra regola assurda era quella dei takeaway, secondo la quale se una pizzeria o un ristorante indiano avesse voluto servire cibo a portar via, avrebbe dovuto richiedere un altro certificato statale.

Ora, si parla di piccole cose; nel sistema sanitario britannico vedo che hanno eliminato molta burocrazia per permettere agli impiegati del settore di agire alla svelta, senza troppe caselle da spuntare e moduli da riempire, focalizzandosi sul salvare vite umane. Un’altra normativa era quella degli orari in cui era permesso ricevere consegne ai supermercati. Non era possibile effettuare consegne tra le dieci di sera e le cinque di mattina per via dell’inquinamento acustico che avrebbe generato. Ora invece si possono effettuare consegne ai supermercati a qualsiasi ora, di giorno o di notte. Ovviamente queste normative sono state alleggerite in una situazione disperata, ma se ci dovessimo rendere conto che rimuoverle non causa nessun danno, che i ristoranti non avvelenano i clienti e che un supermercato può ricevere consegne alle due e mezzo di notte senza causare troppo rumore, allora è il caso di non ripristinarle.

Il governo e i politici hanno permesso la creazione di troppa burocrazia di cui non si sentiva nessun bisogno, e in momenti come questi si scopre che un gran numero di normative era completamente senza senso, intrusive e di nessuna utilità. Se ridurle per aiutare l’economia adesso funziona, allora perché non continuare anche dopo il ritorno alla normalità per spingere la crescita economica al massimo? L’economia globale ne avrà bisogno. Se due o tre anni fa mi avessi chiesto cosa pensi di questo progetto, potrebbe portare a una crescita del Pil dello 0,2 per cento, avrei risposto che non ne sarebbe valsa la pena.

Ad ogni modo, secondo l’Office for Budget Responsibility, a giugno l’economia avrà subito una contrazione del 35 per cento, e quindi dovremo trovare soluzioni che riportino a una crescita del 20-30 per cento del Pil. Quindi, convincere lo Stato a diminuire la spesa pubblica sarà importante. Ma in un certo senso, il risvolto positivo è che in alcune aree avremo delle liberalizzazioni in atto, e quindi la crescita nel resto del 2020, nel 2021 e nel 2022 sarà migliore del previsto. Aiutare la crescita economica nell’economia globale per l’estate, l’autunno e il prossimo anno deve essere la nostra priorità, senza alcuna esitazione. Non possiamo permettere che l’economia si contragga di un terzo, sarebbe l’equivalente di una guerra mondiale: dobbiamo rimetterci in piedi.

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