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Repubblicani Usa “partito della guerra”? Un mito da sfatare, dati e storia alla mano

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Le amministrazioni americane, spesso in base alla loro appartenenza politica, hanno scelto strade differenti nel delineare il ruolo degli Stati Uniti sulla scena globale, anche se a volte queste divergenze sono apparse velate. Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, in questa sede non si giudicherà davanti al tribunale del presente le azioni del passato. E nemmeno si tenterà di giustificare una parte a scapito dell’altra. Si cercherà semplicemente di fare chiarezza su una questione che necessita maggiore approfondimento: i Repubblicani sono davvero i più inclini alla guerra? 

Indipendentemente dalla fazione che ci aggrada, bisogna fin da subito chiarire che nella storia recente nessun presidente può dirsi immune dall’aver, in un modo o nell’altro, utilizzato lo strumento militare in politica estera. Generalizzare sarebbe dunque fuorviante.

Detto questo, nel passare in rassegna l’operato delle amministrazioni d’oltreoceano, si nota spesso una narrazione ben poco attinente ai fatti. Vi è l’infondata convinzione che i Democratici siano maggiormente inclini alla distensione, data la loro minor enfasi sulla spesa militare, e i Repubblicani siano invece profondamente assetati di conflitto armato. Questi ultimi sono da più di vent’anni ritratti come guerrafondai spietati, unicamente interessati alla supremazia americana, mentre i primi vengono ricordati per il presunto idealismo dei loro interventi multilaterali. Ciò che invece va precisato è che, a fronte di una panoramica più ampia che non si esaurisca alle sole guerre recenti, il vero Partito della guerra non risulta essere quello Repubblicano.

Se si volesse ricercare il disinteresse e il puro isolazionismo da parte degli Stati Uniti, sarebbe impossibile trovarne prova nella contemporaneità. L’isolazionismo è molto più antico e gli esempi più recenti sono quelli dei Repubblicani Harding e Coolidge nel primo Dopoguerra. Se dunque in passato vi è stato un qualche periodo non-interventista, questo è certamente stato espresso dal fronte conservatore e non dal mondo liberal.

Discutendo dunque della facilità con la quale si sono trovati in guerra, in un confronto fra Democratici e Repubblicani, i primi vincerebbero a mani basse. Sebbene sia pur vero che la destra repubblicana tende da tempo a sostenere l’importanza delle spese militari in virtù della deterrenza, a questo non è sempre corrisposto un automatismo nel favorire l’uso concreto delle armi. Al contrario i Democratici, figli dell’idealismo wilsoniano, hanno dimostrato una maggior facilità nel coinvolgere il Paese in guerre lontane dal suolo americano.

Storicamente, il vero “appetito” per la guerra è dunque giunto dai Democratici, ed è così dai tempi di Woodrow Wilson. Quest’ultimo e Franklin D. Roosevelt hanno tra l’altro presieduto il coinvolgimento degli Stati Uniti nei due conflitti mondiali del Novecento (e per noi europei è un bene che in quei casi non siano rimasti a guardare).

Ma è nei decenni successivi al 1945 che emerge una disparità non indifferente nel confronto fra Democratici e Repubblicani. È stato il democratico Truman a portare l’esercito in Corea nel 1950, così come è negli otto anni delle presidenze Kennedy e Johnson (1961-1969) che si vive la crisi di Cuba del 1962 e la gran parte della sanguinosa guerra in Vietnam (chiusa poi da un repubblicano: Nixon). Vi è poi la debole presidenza Carter, fino all’arrivo di Clinton con i vari conflitti balcanici e nel Kosovo degli anni Novanta.

Uno dei fatti più incomprensibili degli ultimi anni rimane quello dell’assegnazione, nel 2009, del Nobel per la Pace a Barack Obama che, non meno del predecessore repubblicano George W. Bush, è uno dei presidenti che ha maggiormente bombardato durante la sua permanenza a Washington, proseguendo i conflitti già iniziati prima della sua elezione e intervenendo in territori come Libia, Siria e Yemen. In un bilancio storico ben poco invidiabile, i Democratici del multilateralismo e dell’esportazione della democrazia hanno guerreggiato molto più dei Repubblicani.                                                    

Sul versante Repubblicano, diviso fra l’unilateralismo alla Reagan e il realismo alla Kissinger, si è potuta intravedere una maggior capacità nel gestire gli affari esteri evitando guerre “calde”. Come già anticipato, l’esplicito credo nella strong defense non è inteso come pretesto per scatenare conflitti, semmai come deterrenza necessaria al mantenimento della stabilità globale. Al netto di interventi militari mirati e limitati, come Tripoli, Grenada e Libano negli anni Ottanta e Panama ad inizio anni Novanta, la politica della deterrenza non ha causato i disastri troppo spesso annunciati come conseguenza devastante di tale approccio. Alla base vi è il paradosso vincente per cui una solidità difensiva, anche nucleare, sia garante per appianare e scoraggiare l’aggressività dell’altro lato del mondo. Ne abbiamo avuto contezza proprio con Ronald Reagan e la graduale fine della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica, avvenuta senza spargimenti di sangue.                                                                                                                               

I Repubblicani che hanno preceduto Reagan hanno talvolta ereditato conflitti iniziati dai loro predecessori Democratici, come Eisenhower con la Guerra di Corea o Nixon con il Vietnam. Il primo concluse il conflitto in poco tempo e il secondo, dopo i deprecabili bombardamenti in Laos e Cambogia, portò ad archiviare la questione Vietnam con gli Accordi di Parigi del 1973, avendo Henry Kissinger come principale negoziatore. Ci fu poi il successivo interregno di Ford che, anche per la sua brevità, non vide alcun intervento militare. Di fatto, con i Repubblicani alla Casa Bianca non sono iniziati veri e propri conflitti prolungati nel tempo, fino all’arrivo dei Bush.

Nel 1992, durante una delle sue Heritage Lectures, il grande intellettuale conservatore Russell Kirk affermava che la Guerra del Golfo voluta da Bush 41 stava rappresentando il primo vero distacco del Partito Repubblicano da una certa tendenza che in molti casi aveva caratterizzato il suo operato novecentesco:

Presidents Woodrow Wilson, Franklin Roosevelt, and Lyndon Johnson were enthusiasts for American domination of the world. Now George Bush appears to be emulating those eminent Democrats. When the Republicans, once upon a time, nominated for the presidency a “One World” candidate, Wendell Willkie, they were sadly trounced. In general, Republicans throughout the twentieth century have been advocates of prudence and restraint in the conduct of foreign affairs. 

Sempre secondo Kirk, che abbiamo capito essere critico nei confronti di velleità interventiste, i Repubblicani, da sempre apprezzati per il loro essere stolid (distaccati ma concreti), hanno cominciato ad apparire imaginative, quasi al pari dei loro avversari Democratici, come avverrà con Bush 43 in Afghanistan e Iraq.

Tirando le somme con uno dei più brutali dei conteggi, ovvero quello dei soldati caduti dalla Grande Guerra all’Afghanistan, durante le amministrazioni democratiche sono deceduti più di 600.000 soldati americani (poco più di 100.000 se non contassimo le due guerre mondiali), mentre durante quelle repubblicane circa 25.000.

Complessivamente, le azioni dei Repubblicani hanno provocato meno danni sul piano umano e strategico rispetto alla loro controparte politica, come testimonia anche la recente presidenza Trump. L’errore di molti commentatori nel ritrarre il GOP come the party of war nasce da un’analisi pregiudiziale ridotta al breve periodo e corrispondente solo agli ultimi decenni, ignorando la complessità storica dalla quale invece traspare tutt’altra evidenza fattuale. 

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