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Resta alta la tensione tra Ankara e Teheran per il Nagorno Karabakh e le province azere in Iran

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Lo avevamo scritto qui su Atlantico Quotidiano qualche settimana fa: nonostante il conflitto si fosse fermato, la questione del Nagorno Karabakh avrebbe continuato a dividere i contendenti. Non solo a dividere le due parti in conflitto, Azerbaijan e Armenia, ma anche le medie potenze coinvolte, soprattutto Turchia, Russia e Iran.

Teheran è di fatto schierata con l’Armenia, che aveva provato anche a rifornire di armamenti, provocando la rabbia degli azeri iraniani, da sempre molto sensibili al tema del grande Azerbaijan. La protesta degli azeri iraniani costrinse il regime clericale sciita a bloccare il trasferimento di armi e prendere ufficialmente una posizione neutrale nel conflitto. Addirittura, una volta chiara la sorte del conflitto, gli iraniani avevano persino preso delle posizioni più vicine a quelle azere rispetto a quelle armene. Nonostante le parole, la tensione tra Ankara e Teheran resta molto alta, soprattutto dopo che gli azeri hanno riconquistato l’antico ponte Khudaferin, che permette ora agli azeri – ovvero ai turchi – di essere praticamente al confine con l’Iran.

Un nuovo tassello di questa crisi tra Turchia e Iran si è aggiunto la scorsa settimana. Visitando Baku in onore della parata della vittoria, Erdogan aveva letto un poema in cui si invocava l’unione delle due sponde divise dal fiume Aras, ovvero il fiume che scorre lungo il confine tra Iran e Azerbaijan, dividendo le province iraniane a maggioranza azera (Azerbaijan occidentale e orientale, Adrabil e Zanjan), dall’Azerbaijan. Una divisione che non è mai stata veramente accettata da molto azeri iraniani, che hanno spesso invocato l’unione con Baku (non a caso quelle zone furono per anni de facto indipendenti, quando vennero occupate prima dai russi ad inizio ‘900 e poi dai sovietici tra il 1945 e il 1946). A dispetto del fatto che oggi il leader più importante dell’Iran, Ali Khamenei, viene da Mashhad ed è azero, molti azeri iraniani continuano a non sentirsi realmente parte della Repubblica Islamica. Questo scatena nel governo centrale iraniano una costante paura di moti separatisti, che periodicamente esplodono insieme alla rabbia sociale, provocando la reazione repressiva del regime.

Le parole di Erdogan, come previsto, hanno scatenato la rabbia di Teheran. Il ministro degli esteri iraniano Zarif ha pubblicato due tweet di protesta, uno in inglese e uno in farsi. Molto significativamente, in quello in inglese si chiedeva ad Erdogan di non mettere in dubbio la sovranità dell’Azerbaijan, mentre in quello in farsi – molto più onesto – si metteva in guardia il presidente turco dal mettere in dubbio l’unione delle aree a nord del fiume Aras con la “madrepatria iraniana”. 

I turchi, come previsto, hanno fatto una parziale marcia indietro e in una conversazione telefonica con Zarif, il ministro degli esteri turco Cavusoglu ha dichiarato che Ankara non intendeva mettere in dubbio l’unità territoriale dell’Iran. A dispetto dei riavvicinamenti, la diffidenza tra Ankara e Teheran resta evidente. Anche alla gestione del fronte Nagorno Karabakh, forse, può essere imputato il riavvicinamento tra Turchia e Arabia Saudita e tra Turchia e Israele. Vincere un conflitto non è facile, ma è spesso più facile della gestione del dopoguerra.

Con il Paese ridotto sul lastrico, Erdogan ha seriamente bisogno del sostegno economico dei sauditi, per riuscire a far ripartire le esportazioni e continuare a sostenere gli alleati regionali, Baku in primis (anche perché il corridoio azero assicura il passaggio di fondamentali risorse energetiche per l’export turco verso l’Europa). Il riavvicinamento a Israele, quindi, non servirebbe solamente per trovare una soluzione alla partita energetica nel Mediterraneo – ove Ankara gioca praticamente da sola, o quasi (ammesso che la Tripolitania possa dirsi uno territorio controllabile) – ma anche ad assicurarsi il prezioso sostegno americano (Nato), in una partita ancora tutta aperta, quella del Nagorno Karabakh, dove avere la copertura della Nato servirebbe non poco a gestire l’ingombrante presenza russa e la pericolosa ingerenza iraniana…

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