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E se adesso lo facessimo noi, l’appello degli intellettuali per Battisti?

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E se adesso l’appello lo facessimo noi? Adesso, che il cialtrone insanguinato ha cantato. Adesso, che il PAC Cesare Battisti ha ammesso tutti e quattro i suoi omicidi, ha perfino chiesto scusa ai parenti delle vittime, nel patetico tentativo di negoziare sconti di pena. Perché all’imbrattacarte in fama di scrittore – si verifichi l’expertise dal solo incipit del romanzetto terroristico “Ma cavade” – stagionato nei vapori della rive gauche prima, nel pulviscolo dorato di Copacabana poi, piace poco, si capisce, il sole a strisce dell’isolamento. Questione di cellule, e allora Battisti davanti al pm Alberto Nobili ha più che cantato: ha demolito una cattedrale di menzogne, un muro di fango, il fango di una campagna più mitopoietica, per abusare di un termine caro ai suoi tifosi, che innocentista. Regolari le accuse, e regolari i processi, con il che lenzuolate sterminate di tazebao pieni di autentiche bugie, di false verità, di omissioni, di ricostruzioni farlocche, di cavilli insignificanti, a volte di accuse volgarissime agli accusatori e perfino alle vittime, finiscono dove dovevano finire fin dall’inizio: in fondo al cesso, insieme al vittimismo di questo lugubre arnese criminale riverniciato di rivoluzionarismo. Da chi? Da gente che nel 2004 vergò un incredibile appello e adesso, ovviamente, si nasconde: il quotidiano “La Verità” ha raccontato della reticenza: messi alle strette dalle ammissioni del loro pupillo, adesso preferiscono negarsi, con tante scuse. In millecinquecento firmaioli per avallare una menzogna tanto bassa, tanto enorme quanto le miserabili gesta del Battisti.

E se adesso lo facessimo noi, l’appello? Se ricordassimo che a promuovere quella miseria della falsità, al netto delle dame in odor di Eliseo, le sorelle Bruni, della gauche caviar alla Fred Vargas e Daniel Pennac, qui nella nostra intellighenzia alla trippa furono il collettivo maoista Wu Ming insieme ai colleghi di lettere Giuseppe Genna e Valerio Evangelisti? Se citassimo la vigorosa sponsorizzazione di Toni Negri e Oreste Scalzone? Se ricordassimo la sprovvedutezza di un giovane Saviano? Le certezze mai vacillanti dell’immancabile Vauro, di un Piero Sansonetti che ancora insisteva sulla irregolarità dei processi e, di conseguenza, sull’innocenza del perseguitato Battisti? E l’eterna pasionaria della lotta rivoluzionaria Rossana Rossanda? E il sempre sul pezzo Christian Raimo? E il premio Strega Tiziano Scarpa, con l’antagonismo culturale dei Massimo Carlotto, Lello Voce, Antonio Moresco, e il regista Davide Ferrario, il produttore Marco Muller? E gli speaker di Radio Rai John Vignola e Loredana Lipperini, il critico Gianpaolo Serino, e dietro di loro, la manovalanza firmaiola?

Perché questo appello le pasionarie d’allora vorrebbero tanto dimenticarlo e soprattutto farlo dimenticare. Perché quello che non tornava, nelle loro certezze a prescindere, veniva tranquillamente aggirato. Perché fu offensivo per chi da 40 anni piange un parente, quello sì davvero innocente, e a volte da una carrozzina. Perché questi parenti hanno dovuto subire per 40 anni sarcasmi, cattiverie, violenze verbali, umiliazioni di ogni risma, e con loro chi non si piegava alla lettura di comodo del Cesare Battisti scrittore, vittima, martire, eroe, compagno comunista combattente rivoluzionario. Capitava, eccome, di venire messi alla gogna e nel mirino. Capitava di sentirsi chiedere la testa, con una meschinità esemplare. Adesso, un po’ Nemesi non farà male ai paladini della moralità alternativa: si dà il caso siano sempre quelli che restano umani, ma come pare a loro; che nutrono le medesime certezze, arroganti, aggressive, sulle questioni d’oggi: ecologia, migranti, democrazia, rispetto dei diritti personali. Sono gli sconfitti, ma ancora se la tirano da vincitori. Sono stati sputtanati dal loro idolo, Cesare Battisti, e a questo punto diventa lecito dubitare della loro fondatezza a prescindere. Ogni loro parola andrà presa con le molle, con beneficio d’inventario, e con un sano scetticismo. Ogni loro posa, vanteria, atteggiamento da artisti o da intellettuali, sarà lecito ridicolizzarlo. Non siete credibili, cari, avete fatto una clamorosa figuraccia, e il vostro problema è che non è stata una sola circostanza: è stata emblematica delle vostre certezze. Continuerete a concionare, perché è più forte di voi ed è la vostra strategia autopromozionale, da sempre. Ma ci capirete se, a questo punto, forti di una memoria spietata, vi compatiremo senza pietà.

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