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Se la diplomazia fallisce, l’Occidente non può restare neutrale tra Kiev e Mosca

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 23 maggio 2020

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Il confronto fra l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, e la Russia circa il presente e soprattutto il futuro dell’Ucraina, è stato finora un braccio di ferro più psicologico che altro. Tuttavia, nelle ultime settimane questa querelle internazionale ha via via assunto contorni sempre più inquietanti, sino a far prefigurare un conflitto armato vero e proprio. I russi hanno già schierato da tempo delle loro truppe al confine con l’Ucraina, ma ora stanno giungendo a Kiev aiuti militari da parte americana e la normalmente disimpegnata Germania invierà un ospedale da campo, pur rifiutandosi di spedire armi: 8.500 militari Usa sono in stato d’allerta e la Nato sta pensando a spostamenti di aerei e navi. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres si dice sicuro sul fatto che non vi sarà alcuna invasione russa dell’Ucraina, ma non tutti condividono l’ottimismo dei vertici Onu.

È chiaro come tutto, sia l’eventuale recrudescenza della tensione che una ipotetica soluzione diplomatica, sia nelle mani di Vladimir Putin. Se le truppe di Mosca rimangono dove sono o ancora meglio, fanno un passetto indietro, una guerra, per così dire, guerreggiata è sostanzialmente da escludere, ma se esse dovessero varcare il confine russo-ucraino, allora potrebbe capitare di tutto, incluse le opzioni meno desiderabili. Si spera che il punto di non ritorno di una guerra vera e propria non venga raggiunto. L’ultima cosa di cui il mondo, in particolare l’Europa, ha bisogno, dopo due anni di pandemia e di impoverimento generale, è uno scontro armato dalle conseguenze imprevedibili.

Osservando il tutto in buonafede, anche se questo sentimento è merce sempre più rara, si può intravedere un possibile compromesso capace di non mortificare la dignità di nessuno. Alcuni in Occidente si sono lasciati andare ad una adorazione alquanto inopportuna nei confronti di Vladimir Putin, il cui autoritarismo non è un modello invidiabile, ma, senza appunto elevarlo ad esempio ed evitando anche di percepirlo come un amico sincero, si può però cercare di scongiurare, attraverso un negoziato, lo scontro totale con il presidente russo. Il quale, se confrontato con le insidie di cui la Cina è portatrice, costituisce il male minore per l’Occidente. A proposito di Cina, occorre anche fare il possibile affinché Mosca e Pechino non saldino eccessivamente i loro rispettivi interessi anti-occidentali in un abbraccio per noi mortale.

Si potrebbe ipotizzare, per esempio, un processo politico che porti le province ucraine di Doneck e Lugansk, popolate in maggioranza da russofoni, a pronunciarsi mediante referendum sotto la supervisione internazionale riguardo la loro appartenenza all’Ucraina, secondo il principio di autodeterminazione. In cambio, Putin dovrebbe innanzitutto impegnarsi alla de-escalation nell’area e a rispettare l’esito del voto, nonché a permettere all’Ucraina di programmare il proprio futuro e le proprie alleanze in serenità e senza minacce, inclusa una eventuale adesione all’Alleanza Atlantica. Purtroppo, le cose non sono mai troppo semplici e gli obiettivi di fondo non coincidono sempre con quelli dichiarati.

La smania neo-imperialista di Vladimir Putin, già esibita più volte nel recente passato, riuscirà a non andare oltre al livello di guardia? Il Cremlino ha preteso in questi giorni il ritiro delle truppe Nato da Romania e Bulgaria, due Paesi che sono membri dell’Alleanza da diversi anni ormai, e ciò non fa ben sperare circa la ragionevolezza russa. Non bisogna smettere di confidare in un successo della diplomazia, ma se la Russia dovesse puntare irrimediabilmente ad un conflitto e non fosse interessata a scendere a patti, l’Occidente non potrebbe rimanere neutrale mentre si concretizza una invasione del tutto illegittima di uno Stato sovrano.

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