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Si chiama scontro di civiltà. Accettiamo l’islam per come è: ad oggi, incompatibile con la democrazia liberale

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Ma non sarà il caso, dopo le ennesime ecatombi francesi, di rispolverare  l’espressione “scontro di civiltà”, resa celebre da Samuel Huntington e criticatissima da molti ambienti intellettuali dell’Occidente? Tanti non lo fanno perché temono – quasi tutti – di violare le regole del politically correct e del pacifismo a senso unico che si è insinuato così profondamente nella nostra cultura da diventare parte del linguaggio e del sentire comuni. Vediamo insomma il mondo come vorremmo che fosse, non come è.

Eppure, che uno scontro di civiltà sia in atto è evidente, tenendo anche conto del fatto che gli incredibili massacri avvenuti in Francia sono solo gli ultimi di una serie, ahinoi, lunghissima di episodi, con decapitazioni, tagli di gole e teste mozzate esibite quali trofei di vittoria.

C’è il fondato timore che la vittoria islamica alla fine arriverà, visto il torpore che sembra annichilire il mondo occidentale. E, questa volta, l’impressione è ancor maggiore perché i fatti sono avvenuti nel cuore dell’Europa stessa, e non in qualche landa desertica del Medio Oriente.

Persino un filosofo algerino, tempo fa, non si è fatto scrupolo di usare l’espressione suddetta, “scontro di civiltà”, commentando alcuni episodi di terrorismo islamista. “C’è lo scontro di civiltà e noi siamo nel mezzo”, ha dichiarato.

Si chiama Hamid Zanaz e ha scritto un libro che gli ha causato un sacco di guai, per usare un eufemismo. Titolo: “Sfida laica all’Islam”. Docente all’Università di Algeri, dopo la pubblicazione del volume ha dovuto fare i bagagli in fretta e furia rifugiandosi in Francia. E quale la sua colpa? Aver scritto in modo chiaro che l’attività filosofica, per sua stessa natura, può spingere ad abbracciare l’ateismo o l’agnosticismo. È bastato questo in Algeria, Paese che tra l’altro non è neppure il peggiore quanto a diffusione dell’integralismo, per essere bollato subito come nemico dell’Islam e della stessa nazione.

Com’è possibile, ci si chiede, che una persona nata e cresciuta in un contesto islamico parli di scontro di civiltà, mentre chi vive in Occidente deve stare attento, poiché ricorrere a tale concetto implica immediatamente essere bollati come reazionari, oscurantisti, islamofobi o, peggio, fascisti?

Qualcosa non va, mi sembra chiaro. Siamo vittime di un corto circuito che ha bruciato ogni capacità di resistenza e ci sta conducendo, lentamente ma in modo inesorabile, alla resa, all’abbandono di tutto ciò che la cultura occidentale ha prodotto negli ultimi secoli. Non solo la completa libertà di espressione, tesoro inestimabile, ma pure la distinzione tra filosofia e teologia, il rispetto per l’opinione degli altri, la tolleranza verso visioni del mondo diverse dalla nostra.

Premetto subito che, a mio avviso, la connessione tra attività filosofica (e pure scientifica) da un lato, e ateismo o agnosticismo dall’altro, non è affatto scontata. Vi sono fior di filosofi e di scienziati che si proclamano credenti, e questo in Occidente non è mai stato un problema. Al massimo atei e agnostici si mettono a discutere con i credenti. Si avanzano le proprie argomentazioni e nessuno si sogna di espellere gli “avversari” dalla comunità degli studiosi. La discussione va avanti senza posa dal momento che viene percepita quale strumento di arricchimento reciproco.

Nel mondo islamico non è così, e vale tanto per i fondamentalisti quanto per i cosiddetti “moderati”. Quando l’ateneo in cui insegno conferì la laurea honoris causa in filosofia al celebre teologo svizzero Hans Kung, costui fece notare nella sua prolusione che il mondo islamico non ha mai avuto un illuminismo, e che la parola “laicismo” continua ad essere considerata anatema. I tentativi di laicizzazione, come quello operato da Ataturk in Turchia, sono alla fine falliti a causa della perdurante sottomissione delle masse a un clero che non ha mai rinunciato, in nessun momento, a considerare il libro sacro quale unica fonte della verità (e della legge) e, in quanto tale, immodificabile e non soggetto a critiche.

Ci siamo illusi, adottando un multiculturalismo indistinto e senza barriere, di neutralizzare un pericolo del quale, in fondo, si è sempre compresa la pericolosità. I risultati si vedono ora in modo chiarissimo. David Cameron, anni fa, fu attaccato con violenza solo per aver detto che il multiculturalismo è fallito. Purtroppo aveva ragione, anche se è forse troppo tardi per trovare rimedi efficaci. Le lezioni sono sempre preziose, a patto che si riesca a recepirle in tempo utile. Se invece si va fuori tempo massimo, accade il disastro e si raggiunge il punto di non ritorno. È proprio quanto sta avvenendo, con la prospettiva di precipitare in un buco nero del quale è impossibile scorgere il fondo.