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Tutti pazzi per Kim Yo Jong: come i mainstream media Usa si sono bevuti la propaganda nordcoreana

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L’abbiamo visto tutti, o quasi: alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici invernali, nella Corea del Sud, gli atleti nord-coreani e sud-coreani hanno marciato insieme in un tripudio generale. Neanche a dirlo i mainstream media statunitensi si sono spellati le mani per applaudire l’evento e la “storica stretta di mano” tra Kim Yo Jong, sorella del dittatore nordcoreano Kim Jong Un (nonché donna più influente del suo paese), e il presidente sudcoreano Moon Jae-In. In questo scenario l’unica nota stonata è stata il distacco con il quale ha vissuto l’intera vicenda il vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, che si è ben guardato dal mostrare il benché minimo interesse per la potente signora, nonostante i due fossero seduti a poca distanza l’uno dall’altra durante la cerimonia. Non solo, mentre durante la sfilata delle due rappresentative olimpiche i delegati ufficiali degli altri paesi si sono alzati in piedi per applaudire, Pence è rimasto tranquillamente seduto (si è alzato in piedi ad applaudire solo quando hanno sfilato gli atleti americani).

Uno, come ha scritto Nicole Russell su The Federalist, potrebbe pensare che Pence abbia bestemmiato contro la Santissima Trinità, stando alle reazioni scandalizzate dei media e all’accusa di essere stato irrispettoso. E invece, osserva giustamente Russell, il “gesto” del vicepresidente è stato più efficace di mille discorsi sulla libertà, la giustizia e i diritti umani. E poi, basta illudersi, o far finta di credere nel mito dell’unificazione: la Corea del Nord non intende unirsi a quella del Sud più di quanto gli Eagles desiderino condividere la loro vittoria al Superbowl con i New England Patriots. E’ solo propaganda, specchietti per le allodole: non ci sarà alcuna unificazione, se non sotto la bandiera comunista della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Una bandiera che gronda sangue e ignominia. Secondo Human Rights Watch, il governo di quel paese “reprime qualsiasi espressione di dissenso e vieta ogni opposizione politica organizzata, la libertà di stampa, la libertà sindacale e le libere organizzazioni della società civile. La libertà religiosa è sistematicamente repressa.” A questo si aggiungano gli orrori delle punizioni di massa per presunti delitti contro lo Stato, con centinaia di migliaia di “dissidenti” – bambini inclusi – rinchiusi in campi di concentramento e altre forme di detenzione, sottoposti al lavoro forzato e soggetti ad abusi di ogni tipo da parte dei loro carcerieri-aguzzini.

A fronte di tutto questo i mainstream media non trovano di meglio che presentare in una luce positiva la Corea del Nord e dare dell’ignorante al vicepresidente degli Stati Uniti. Scrive David French sul National Review: “Quando capita che un articolo su un giornale mainstream metta in buona luce e/o copra le malefatte della Corea del Nord, è un problema. Quando gli articoli sono due, è una farsa. Ma che dire quando sono tre, quattro, cinque? Cosa pensare quando in qualcuno di questi articoli si adotta un tono in qualche modo celebrativo mentre si narra di presunti trionfi diplomatici ai danni del vicepresidente Mike Pence? Che dire quando in qualche altro si ‘corteggia’ la propaganda di uno dei regimi più brutali che ci siano al mondo? Ebbene, questo è ciò che è successo lo scorso weekend – articolo dopo articolo, tweet dopo tweet.”

Time scrive: “In barba a tutti gli sforzi del vicepresidente Mike Pence di impedire alla Corea del Nord di dominare la scena alle Olimpiadi Invernali, le immagini delle due Coree che sfilano insieme – e dei loro rappresentanti che si stringono la mano – in un periodo di crescenti tensioni nella penisola si sono dimostrate impossibili da contrastare.” E la CNN proclama che Kim Yo Jong è “la risposta della Corea del Nord alla first daughter americana Ivanka Trump.” Il Washington Post insiste sullo stesso tasto parlando della “Ivanka Trump della Corea del Nord”, del suo “sorriso enigmatico” e della sua “sobria bellezza.” ABC News, per parte sua, scrive: “Se la ‘danza diplomatica’ fosse una specialità olimpica invernale la sorella minore di Kim Jong Un sarebbe favorita per la medaglia d’oro. Con un sorriso, una stretta di mano e un caloroso messaggio nel Guest Book del presidente sud coreano, Kim Yo Jong ha colpito profondamente un po’ tutti fin dal primo giorno dei Giochi di Pyeongchang.” Per tacere di articoli come quello intitolato “La sorella di Kim Jong Un affascina, rubando la scena a Pence” (“Kim Jong-Un’s Sister Turns on the Charm, Taking Pence’s Spotlight”), pubblicato sul New York Times. Va detto che, in alcuni casi, i contenuti sono più sfumati di quanto i titoli non facciano pensare, ma la pubblicità positiva per il regime c’è, eccome.

Articoli e servizi di questo tenore sono apparsi anche su NBC News, Reuters e molti altri organi di informazione di primissimo piano. Parole di buon senso sono venute soltanto da sponde conservatrici. Ad esempio da Mary Katharine Ham, giovane e promettente scrittrice e giornalista (Hot Air, Townhall Magazine, The Federalist, CNN), la quale domenica scorsa, parlando alla CNN, ha semplicemente ricordato che Kim Yo Jong è né più né meno che l’agitprop di un terribile regime, “perciò, sì, stringerle mano è effettivamente un problema (…). Io penso che sia veramente importante che agli attivisti ai quali non piace Pence o ‘questa’ Casa Bianca siano chiari sul fatto che questa donna sta facendo la P.R. di esecuzioni pubbliche e gulags. Questo è il suo lavoro. (…) Perciò non bisogna lasciarsi prendere la mano solo perché si dissente da Pence sui matrimoni gay. Questa è una brutta cosa, è pessima pubblicità ed è propaganda gratuita per quella gentaglia.” E quanto all’infatuazione generale dei media per le cheerleaders nordcoreane (“impossibile ignorarle”, ha scritto il Wall Street Journal) che si sono esibite in un canto coreografato dalla sincronia perfetta, per queste ragazze che sono parte essenziale dell’offensiva dello charme da parte del regime, la giovane giornalista va giù dura: “Sono prigioniere del proprio paese, sono allevate a esultare con la pistola alla tempia”. Altro che “the army of beauties”!

A fronte di tutto ciò che si è letto, visto e udito, anche di quanto sarebbe stato meglio ignorare, il “gesto” di Mike Pence si staglia in alto come i volti dei Padri della Patria scolpiti nella roccia del Monte Rushmore. Una grande lezione per tutti.

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