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Un delitto a Istanbul firmato Teheran, ma non ha avuto la stessa risonanza del caso Kashoggi

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Il 14 novembre 2019, per le strade di Istanbul è stato ucciso Masoud Molavi Verdanjani, freddato con un colpo di pistola alla testa. Verdanjani, secondo le indiscrezioni, era un ex impiegato del Ministero della difesa iraniano nel dipartimento cyber, diventato un duro oppositore del regime islamista e riparato in Turchia per ragioni politiche.

Secondo quanto emerge ora in una inchiesta della Reuters, ad aver istigato l’omicidio politico sarebbero stati due membri dell’intelligence iraniana, in possesso di passaporto diplomatico e dislocati in Turchia, ufficialmente come impiegati del Consolato iraniano. I nomi dei due agenti iraniani non sono stati resi noti dalla Reuters, che però dà notizia di aver provato a contattare il Consolato di Teheran a Istanbul, ovviamente senza successo. Da parte sua, la Turchia sta conducendo una indagine e per ora ha rifiutato di rilasciare qualsiasi commento ufficiale sulla vicenda.

L’omicidio Verdanjani riapre la grande questione della presenza nelle ambasciate iraniane nel mondo di agenti dell’intelligence e di membri speciali della Forza Qods, il cui ruolo principale non è solo quello di essere agenti di collegamento – cosa piuttosto normale nelle rappresentanze diplomatiche – ma vere e proprie cellule attive in primis per monitorare gli oppositori del regime, e pronte anche ad agire sia attraverso omicidi mirati, che organizzando veri e propri attentati. Ricordiamo che gli attentati contro l’Ambasciata d’Israele e il Centro ebraico AMIA di Buenos Aires (1992 e 1994), furono entrambi pianificati all’interno dell’Ambasciata iraniana in Argentina ed ebbero come mente principale in loco, l’allora attachè culturale iraniano Rabbani. Solo di recente in Europa, diplomatici iraniani sono stati espulsi da diversi Paesi europei – tra cui Austria, Danimarca e Albania – per aver provato ad organizzare un attentato contro un incontro dell’opposizione iraniana a Parigi (ove era presente anche una delegazione di parlamentari e politici italiani, tra cui l’ambasciatore ed ex ministro Terzi) e per aver provato ad organizzare un attentato durante la partita di calcio Albania – Israele.

Per tornare al caso Verdanjani, al di là dei silenzi reciproci, è ovvio che quanto sta emergendo su quell’omicidio pone chiaramente sotto stress le relazioni tra Ankara e Teheran, già poste oggi a dura prova nella guerra siriana, in particolare nello scontro in corso nell’area di Idlib, ultima sacca rimasta nelle mani dei jihadisti e degli oppositore al regime di Assad, sostenuti militarmente dal presidente turco Erdogan. Ma certo è che all’omicidio non è stata data, né ad Ankara né in Occidente, nemmeno un decimo della risonanza del brutale assassinio del giornalista Jamal Kashoggi nel consolato saudita.

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