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Usa 2020: basterà parlar male di Trump per battere Trump?

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo commento di Luca Marfé, giornalista del Mattino

L’apocalisse: il coronavirus, la crisi economica, le proteste razziali

Donald Trump si agita al centro di un’America letteralmente in fiamme. Di uno scenario, cioè, assolutamente inimmaginabile fino a soltanto sei mesi fa. Commette più di un errore, come sempre esaspera i toni, se la prende un po’ con tutti tranne che con sé.

Ma per provare a capire quali siano le sue reali possibilità di vittoria o di sconfitta, più che ai sondaggi della propaganda e non dell’informazione, bisogna guardare all’alternativa. Ovvero a sinistra. Joe Biden è un candidato di “default”. In altre parole: il più tradizionale dei politici. Esperto, rassicurante nell’aspetto (un po’ meno negli svarioni che qualcuno collega addirittura a indizi di senilità) e, soprattutto, figlio dell’era Obama, con l’ex presidente che praticamente sta facendo campagna elettorale al posto suo. Biden che quasi scompare, insomma. Che sembra aver scelto la via del pilota automatico per arrivare da qui al 3 novembre.

Attenzione, però: silenzioso lui, ma rumorosa, rumorosissima, la macchina politico-mediatica dei Democratici che, tra prime pagine dei giornali, prime serate in televisione e prime avvisaglie di sempreverdi scandali da rilanciare (inventare?) a comando, si scatena già attorno all’odiato presidente. Criticandolo pure quando ha ragione, com’era avvenuto ad esempio in risposta all’ordine di chiudere i voli da e per la Cina che gli era valsa l’oramai consueta e persino banale etichetta di razzista. Un attimo dopo, tutto il mondo avrebbe fatto quella stessa mossa, ma l’unica cosa che contava nel frattempo era parlar male di lui. Ed è l’unica cosa che evidentemente conta ancora. E ancora.

L’unico vero “progetto politico”, se di progetto politico si può parlare, di una sinistra che di progetti politici molto semplicemente non ne ha. Ne aveva con Bernie Sanders, ma avendo l’establishment abbandonato la vera sinistra da un po’ pur di scambiarla in fretta e furia con i miliardi della globalizzazione dei ricchi e con le pene del mondialismo dei poveri, guai anche soltanto a nominarlo.

Il “disegno” oggi, e di nuovo ci vogliono le virgolette, è tutto qui, non c’è altro. Demonizzare il nemico giurato pur di giustificare il vuoto di sé, misto all’incapacità di un candidato che non riesce ad entusiasmare neanche la sua cerchia, forse i suoi parenti.

Ora la domanda è: sarà sufficiente? Basterà parlare male di Trump per battere Trump? La situazione è in tale divenire che non è facile rispondere.

Due considerazioni stringate, però. La prima: si rischia di generare il martire. Ovvero il “guerriero solitario” (come lo stesso tycoon ama definirsi) che, proprio grazie a una grandiosa narrativa della vittima e dello scontro, spera di eccitare il suo popolo spingendolo a votare compatto e in massa.
La seconda: il giochetto potrebbe non tenere. I Democratici sperano che The Donald si autodistrugga, ma verrà il tempo, persino per loro, di spiegare a chiare lettere che cosa intendano fare di questo Paese. Lasciarlo alla Cina? Lasciarlo a quelli che tirano giù le statue e magari chiedendogli pure scusa?Lasciarlo a chi pensa che la polizia vada chiusa?

Occhio. Perché potrebbero lasciarlo, invece, per altri quattro anni a Donald Trump.

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