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“Baby”: i Parioli come non li avete mai visti

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“Se hai sedici anni e vivi nel quartiere più bello di Roma sei fortunato. Il nostro è il migliore dei mondi possibili. Per quanto sia tutto così perfetto, per sopravvivere abbiamo bisogno di una vita segreta”.

Inizia così “Baby”, la nuova serie italiana di Netflix – diretta da Andrea De Sica e Anna Negri – liberamente ispirata allo scandalo delle baby squillo dei Parioli emerso nel 2013 dalla palude dell’alta borghesia romana.

Decido di guardarla tutta.

L’attesissima serie, composta di sole sei puntate, è un teen drama pieno di cliché, questo è facile da obiettare, ma chi conosce la vita “del quartiere più bello di Roma” sa bene che i suoi abitanti sono essi stessi dei cliché viventi.

La storia in sé non è poi così originale, eppure in pochi giorni conta migliaia di visualizzazioni ed il perché è semplice da spiegare.

Non siamo mica di fronte alla solita storia di povertà, che non fa più notizia, in cui due minorenni si prostituiscono, non è certo uno scenario alla Walter Siti, il fatto avviene dalla parte giusta del Tevere e quindi è subito scandalo, è uno scoop, è glamour.

Che lo si faccia per noia o per soldi, per pagare la retta della costosa scuola privata o per comprare l’ennesima borsetta firmata non importa, ciò che importa è che avvenga ai Parioli, dove tutto si impregna di quel fascino decadente che contraddistingue il prestigioso quartiere ormai ultima roccaforte della sinistra bobo.

Baby coglie nel segno, l’italiano ama spiare dal buco della serratura le vite degli altri ma soprattutto quelle di una tipologia: le vite dei ricchi.

Chiara, Ludo, Cami, Niccolò, Brando e le loro vite sono il paese surreale contrapposto al paese reale, due mondi che conducono una vita parallela a pochi quartieri di distanza senza incontrarsi mai.

La serie apre le porte a un mondo patinato in cui figli ricchi e infelici conducono una vita segreta all’oscuro dei loro genitori ricchi e infelici, adulti che incarnano l’emblema del radical chic pronto a prodigarsi per il fascino esotico di una causa umanitaria, mentre impartisce ordini alla cameriera filippina rigorosamente abbigliata come si conviene alla servitù, in un’atmosfera da film di Virzì.

C’è il papà pronto a regalare la macchinina alla figlia per farsi perdonare il tradimento con l’amante, il figlio dell’ambasciatore bello e dannato che ne combina di tutti i colori, la ragazzina bigotta e moralista ma che ha già fatto un salto dal chirurgo estetico, la liaison dangereuse tra la professoressa milf e il suo alunno, il toyboy che dilapida le finanze della sua attempata fidanzata.

Fra momenti di tristezza alternati a scene di soft-porn che sfocia nel trash, ci sono Chiara e Ludo, le feste, la droga, i drink, gli uomini adulti disposti a pagare per queste ninfette dai capelli lucenti, che non hanno certo il fascino di una Lolita, ma per il pubblico volgarotto che se le contende bastano e avanzano.

C’è l’immaginario liceo Collodi, una scuola per ragazzini tutti uguali in cui è racchiuso in tutte le sue sfumature il dramma adolescenziale moderno e spietato: il bullismo fra compagni, i video hot fatti a scuola, l’omosessualità repressa, il disagio interiore che ogni ragazzo vive a quell’età, ma qui fa più figo.

L’ultima puntata è finita, spengo la tv ed esco di casa, mi incammino su viale Liegi, in direzione di piazza Ungheria e viale Parioli, il cielo è terso, è una bella giornata di dicembre e il sole cade sulle foglie ingiallite, nelle mie orecchie risuona la colonna sonora di Baby, le note della cover synth-pop di “Girls just wanna have fun” dei Chromatics.

Un gruppo di ragazzini mi passa accanto, indossano le divise di una rinomata scuola privata, salgono sulle loro macchinette e sfrecciano via veloci seguiti dalle imprecazioni dei pedoni, corrono verso il loro mondo, piazza Euclide, piazzale delle Muse, Villa Balestra, sui loro volti il sorriso beffardo di futuri amministratori di patrimoni familiari, di una vita da “romani semplici”, estate in Sardegna, inverno a Cortina, passeggiate a cavallo nella villa a Capalbio.

Tutto questo non basterà e per sopravvivere avranno ancora bisogno di una vita segreta, illudendosi di essere gli unici a nascondere segreti pruriginosi dietro le facce troppo abbronzate. “Solo questo mi è rimasto”, commenteranno un giorno con gli amici al circolo del tennis, alludendo a qualche squallida avventura.

“Vivo nel quartiere più bello di Roma e sono fortunata”, ripeto dentro di me. Eppure non mi sento tanto bene.

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