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L’altra faccia del lunedì – Medico cura te stesso: l’Università vuole salvare il mondo ma non sa gestire neanche se stessa

Per chi crede nel Dio delle coincidenze, negli stessi giorni in cui la nave Sea Watch penetrava le acque italiane, sui giornali esplodeva l’inchiesta relativa ad alcuni concorsi dell’Università di Catania, con sospensione di diversi docenti e gravi accuse a carico. Ma di quale coincidenza stai parlando, potrebbe chiedermi il proverbiale marziano flaianeo? Cosa c’entrano Sea Watch, Carola e l’immigrazione clandestina con le Università? In un mondo e paese normale, niente. In Italia e nelle nostre università invece tutto.

Già in occasione delle varie crisi da sbarco dei mesi precedenti, professori agit prop avevano trasformato le loro lezioni in meeting anti Salvini. Ma con il caso Carola si è varcato un altro, gravissimo limite. Gli interi Senato accademico e Consiglio d’amministrazione dell’Università di Palermo all’unanimità hanno infatti espresso solidarietà “alla Capitana” (è scritto cosi!) con un documento, leggibile per intero sul sito dell’Ateneo, che nulla a che vedere con la scienza e l’educazione e tutto con la politica. E questo il 27 giugno, quindi quando la Sea Watch era già penetrata in acque territoriali italiane, contravvenendo agli ordini delle autorità.

Il Senato accademico rappresenta tutto l’Ateneo, è composto oltre che dal Rettore, Micari, già candidato senza successo dal Pd alle elezioni regionali siciliane, dai direttori di tutti i Dipartimenti, di un ateneo grande come quello siciliano. Possibile che tutti i docenti siano stati d’accordo con questa dichiarazione? Che nessuno avesse o abbia nulla da dire?

Il comunicato usciva non solo quando la “Capitana” aveva già sfidato le autorità, ma nello stesso momento in cui lo scandalo dei concorsi troneggiava su tutte le pagine dei giornali. Ora, Palermo non è Catania, tutti i coinvolti sono per definizione innocenti fino a condanna, la responsabilità è sempre personale. Ma sarebbe ipocrita non vedere che ormai il numero delle inchieste, la gravità delle accuse e soprattutto la frequenza delle condanne ci restituisce un problema di sistema. Purtroppo bisogna constatare che più è aumentato il grado di autonomia dei singoli atenei più è cresciuto il livello di malcostume e di corruzione, che invece il vecchio rigido centralismo aveva comunque limitato.

Di fronte a un sistema universitario presentato negli stessi giorni dagli inquirenti come “mafioso” e alla pubblicazione di intercettazioni di frasi francamente vergognose, un’istituzione come l’Ateneo di Palermo avrebbe dovuto pensarci bene prima di lanciarsi in una battaglia etico-politica (più politica e strumentale che etica, in verità).

Ci troviamo di fronte alla solita fallacia degli intellettuali di cui parlava Hayek. Sempre pronti a pontificare astrattamente sull’universo e sui modi di salvare il mondo ma incapaci (o fingenti tali) di vedere i gravi problemi che attanagliano il mondo quotidiano in cui vivono e lavorano. In questo caso un sistema di concorsi che, in molti casi, produce quella violazione plateale dei principi e dei valori di cui invece pomposamente essi infarciscono i loro appelli, individuali, collettivi o addirittura istituzionali.

Invece di interrogarsi sui modi e sulle soluzioni per migliorare il loro ambiente, per evitare che vi vengano violate le più elementari norme di dignità, molti professori preferiscono  discutere dell’universo e limitarsi alla teoria delle “mele marce”, ai “casi individuali” e amenità varie. Quelli che parlano, perché poi in realtà la maggioranza dei docenti sui concorsi mantiene un religioso silenzio. Salvo diventare molto loquaci quando si tratta di pontificare su Antigone, sull’”umanità violata”  e sulla “Capitana Carola”.

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