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“The Case for Trump”: un presidente di cui l’America ha bisogno ma che non sarà mai compreso e apprezzato

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Tra i tanti libri pro-Donald Trump che sono stati pubblicati—e che per lo più non sono di eccelso valore, vuoi perché eccessivamente apologetici, vuoi per via dello scarso spessore letterario e politologico degli autori—ne spicca uno che sta per uscire (per i tipi di Basic Books), il cui autore è il meno sospettabile di piaggeria e mediocrità. Si tratta di “The Case for Trump”, di Victor Davis Hanson, famoso classicista e storico militare, commentatore fisso del National Review e senior fellow del prestigioso think tank della Stanford University noto come Hoover Institution on War, Revolution, and Peace.

Il libro spiega come un uomo d’affari e una celebrità mediatica senza alcuna esperienza politica sia riuscito a trionfare su sedici qualificatissimi rivali repubblicani e contro una candidata democratica con un quarto di miliardo di dollari a disposizione per la campagna elettorale, per non parlare dell’ostilità sorda dell’intero establishment di Washington e della quasi totalità dei media. Una specie di miracolo. Il ritratto di The Donald include una tesi singolare e affascinante: il presidente è una sorta di “eroe tragico” di tipo classico, di cui l’America ha disperatamente bisogno ma che non sarà mai apprezzato come merita nel proprio Paese.

Una citazione dal libro, contenuta nell’intervista che l’autore ha concesso qualche giorno fa al New Yorker, è particolarmente eloquente. Hanson paragona il presidente ad altri personaggi della storia americana che egli ammira particolarmente:

“Ciò che rende tali uomini eroici e tragici al tempo stesso è la loro consapevolezza che la naturale espressione del proprio personaggio possa portare soltanto alla loro stessa distruzione o all’ostracismo da parte di quella stessa civiltà avanzata che essi cercano di proteggere. E tuttavia questi uomini accettano volontariamente la sfida pur di essere utili alla causa. […] Tuttavia, per una serie di ragioni, sia personali sia civiche, i loro personaggi non solo non dovrebbero essere alterati, ma neppure potrebbero, e neanche se l’eroe tragico lo volesse. […] Nel senso classicamente tragico, per Trump andrà a finire in uno di questi due modi, entrambi non particolarmente simpatici: o uno spettacolare conseguimento degli obiettivi, ma senza riconoscimento dei meriti, seguito dall’ostracismo […], oppure, meno probabilmente, un mandato singolo [cioè non-rielezione] a causa del successivo imbarazzo dei beneficiari.”

Insomma, Trump come un eroe della mitologia greca. Certo, basta intendersi sul vero significato della parola “eroe”, che gli americani ignorano, dice il professore nell’intervista: loro pensano che essere eroi significhi vivere felici e contenti. Che si tratti di Achille o dell’Aiace e dell’Antigone di Sofocle, gli eroi possono agire per insicurezza o impazienza—essi possono agire per ogni sorta di ragioni che noi in America consideriamo meno che eroiche. “Ma quello che gli eroi sottolineano è: io vedo che so fare una cosa. Vedo un problema. Voglio risolvere quel problema anche se non ne conseguirà necessariamente un bene per me stesso. Ed essi accettano tutto questo.”

Nel libro, continua il professore, “ho citato quanti più esempi mi fosse possibile dai classici film western, Shane (Il cavaliere della valle solitaria) o High Noon (Mezzogiorno di fuoco) o The Magnificent Seven (I magnifici sette). Sono tutti uguali—la comunità non ha le capacità o la forza di volontà necessarie, o semplicemente non vuole abbassarsi a far ricorso al metodo correttivo per risolvere il problema esistenziale, sia che si tratti di grandi allevatori o di banditi. E così chiamano un outsider e immediatamente cominciano a sentirsi a disagio perché è rozzo—quei suoi modi, i suoi metodi…—e poi lui risolve il problema e loro,  in tutta risposta, che si tratti di Gary Cooper in High Noon or Alan Ladd in Shane,  gli dicono: ‘Guarda, io penso che sia meglio che tu te ne vada. Non abbiamo più bisogno di te. Ci sentiamo un po’ in colpa per averti chiamato’. Io penso che che questo sia ciò che Trump deve aspettarsi.”

E’ un po’ come nell’Aiace di Sofocle, spiega infine Hanson.

“C’è un eroe nevrotico che non può smettere di pensare che lui è, da tutti i punti di vista, il vero successore di Achille e che quindi merita di ereditare la sua armatura, epperò quel furbacchione maledetto di Ulisse gliele ha soffiate con l’imbroglio. A lui non resta che dire: ‘Questo non è giusto. Io sono meglio, lo sappiamo tutti.’ E’ vero, ma in sostanza la risposta che gli viene data è: ‘Falla finita e incartatela’. Achille, anche lui, ha elementi dell’eroe tragico. All’inizio dell’Iliade egli dice: ‘Io faccio tutto il lavoro. Io ammazzo tutti i troiani. Ma, quando si tratta di spartire il bottino, voi premiate i mediocri—il deep-state, le nullità amministrative.’ Così lui si defila. E allora gli dei gli dicono: ‘Se torni a combattere guadagnerai fama eterna, ma finirai morto ammazzato’. Così lui prende la decisione tragica ed eroica di tornare sul campo di battaglia.”

La conclusione del ragionamento è semplice: “Io sono del parere che Trump abbia davvero pensato che c’erano certi problemi e che lui aveva alcune capacità che potevano valere la soluzione di quei problemi. Magari in maniera naif. Ma penso che lui abbia capito fin da subito che non ci avrebbe guadagnato né denaro né gradimento.”

Non so come la vedete voi, ma a me questa storia dell’eroe tragico mi ha convinto. Forse perché, sotto sotto, l’ho sempre saputo. Ma ora Victor Davis Hanson me l’ha fatto realizzare in tutto lo splendore dei riferimenti classici. Siamogli grati per questo.

Un libro da leggere. Dal prossimo 5 marzo su Amazon, in cartaceo e in digitale.

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