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Da destra si può elogiare la Resistenza. Ma non serve mitizzarla

partigiani resistenza

Sono convintamente dell’idea che il fascismo non sia stato un’esperienza storica interamente negativa. Ci furono elementi di modernizzazione, un tentativo reale di costruire uno Stato efficiente, una forte coesione nazionale in anni in cui l’Italia sembrava sull’orlo della disgregazione. Non si possono ignorare il consenso che raccolse né i risultati ottenuti in materia di ordine pubblico, infrastrutture, industria, burocrazia e politiche sociali.

Ma proprio qui sta la colpa del fascismo: aver sprecato tutto. Accanto a quegli elementi di razionalizzazione e sviluppo, il regime adottò sistematicamente la violenza e la repressione del dissenso come strumenti di governo. Peggio ancora, pretese di espandersi nel mondo con la forza, portando l’Italia in una guerra insensata e rovinosa, fino a saldarsi con il peggiore dei regimi: quello nazista. Il risultato fu una catastrofe completa — militare, politica, morale — che lasciò il Paese in macerie e, per decenni, in una posizione subalterna nello scacchiere internazionale, in particolare nei confronti degli Stati Uniti.

L’armistizio dell’8 settembre 1943, in questo contesto, fu una frattura profonda e dolorosa. Da un lato, fu indiscutibilmente un tradimento militare: cambiare campo all’improvviso, abbandonando alleati, reparti, giuramenti, lasciò migliaia di militari spaesati e senza ordini, molti dei quali andarono incontro alla vendetta nazista. È un fatto che pesa, e deve pesare, sul piano dell’onore e del diritto bellico. Dall’altro lato fu però una scelta necessaria, anzi sacrosanta. L’alternativa era continuare a combattere al fianco di Hitler e, dunque, di Auschwitz e dell’intera macchina dello sterminio. Che questa realtà fosse allora ignota a tanti che decisero di restare fedeli al giuramento originario, è un dato storico accertato che giustifica non tutte, ma molte scelte personali. Oggi, però, non possiamo più fingere di non sapere cosa significasse quella alleanza.

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La Resistenza, allora, fu una reazione imprescindibile. Non fu decisiva sotto il profilo militare — la liberazione fu opera soprattutto delle forze angloamericane — ma fu un passaggio cruciale sul piano morale. Fu guerra civile, fu violenza, anche feroce, e talvolta vendetta, ma fu soprattutto rinascita. Fu l’inizio di un’Italia che, pur sconfitta militarmente, non accettò di esserlo del tutto nei valori. Un’Italia che scelse di rialzare la testa e riscattarsi agli occhi del mondo, e soprattutto davanti alla propria coscienza.

Non serve mitizzare la Resistenza per riconoscerne la portata. Basta ammettere che, senza di essa, l’Italia sarebbe uscita dalla guerra solo come nazione vinta, non come Paese degno di un nuovo inizio.

Allora sì: anche da destra e con tutti i necessari distinguo, senza abiure e senza retorica, dico con chiarezza: viva la Resistenza e viva chi ha combattuto per restituire dignità all’Italia.

Giorgio Carta, 25 aprile 2025

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