La Bce prende a martellate l’inflazione, ma sbriciola il Pil. Ora giù i tassi

Europa in stagnazione, e in Italia la crescita è ormai ibernata a quota zero. Basta con il rigore dei falchi tedeschi, serve un nuovo Patto per la crescita

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La Bce di Christine Lagarde è riuscita nell’impresa. A furia di prendere a martellate la crescita economica con il maglio dei tassi di interesse l’ha sbriciolata: -0,1% tra luglio e settembre il Pil dell’euro zona, calcola Eurostat, dopo un secondo trimestre già asfittico (+0,2%). Insomma, dopo aver spedito in recessione la Germania, ora è a un soffio dal fare lo stesso pasticcio con l’intero Vecchio continente. Eppure a settembre, quando il costo del denaro è stato portato al 4%, il direttivo dell’Eurotower si era diviso per paura di sbagliare, salvo poi obbedire agli ordini dei falchi del rigore, da sempre ossessionati dall’inflazione.

 

Già all’epoca c’erano i segnali che la corsa dei prezzi stesse rallentando, ma madame Lagarde non ci ha badato troppo: meglio fare di più che di meno, avrà forse pensato. E così ora il danno è fatto. L’unico modo di rimediare è scrivere un nuovo Patto di Stabilità che mette in primo piano la ripartenza dell’economia, scorporando gli investimenti. Come chiede l’Italia, inascoltata da mesi a Bruxelles, mentre prosegue il braccio di ferro sulla ratifica del Mes. Si tratta del Meccanismo europeo di Stabilità, un sistema di assistenza finanziario ai Paesi in difficoltà (tramite prestiti) in cambio però di feroci condizioni da accettare. Al punto che malgrado il Fondo Salva Stati preveda una certa gradualità di applicazioni, per molti dietro la maschera si nasconde la logica della Troika che ha affondato la Grecia nel pieno della crisi del debito sovrano.

 

Per tutti questi motivi lascia un gusto amaro in bocca, la pur dolce notizia che l’inflazione in Europa sia crollata al 2,9% contro il 4,3% di settembre e il 5,2% di agosto. Tracciando un chiaro sentiero di ritorno alla normalità, pur con qualche rischio nascosto sul fronte dei prezzi energetici a causa dell’accavallarsi delle due guerre in corso in Ucraina e a Israele con l’arrivo dell’inverno.

 

Lo stesso si può dire per l’Italia che, dopo aver visto avvitarsi il mercato immobiliare con lo stallo delle compravendite di case, deve ora fare i conti con una vera e propria gelata del Pil, ibernato a crescita zero nel terzo trimestre. Tanto che ormai va bene se sull’anno il nostro Paese riuscirà a mantenere quello 0,7% di crescita attualmente già acquisita. Non proprio il massimo per affrontare a testa alta le prossime prove con le agenzie rating dopo le promozioni di S&P e Dbrs. Il caro vita invece lungo lo Stivale si è ridotto a un terzo: dal 5,3% di settembre all’1,8% di ottobre. In gran parte dipende da gas e petrolio, giunti a prezzi stratosferici un anno fa, ma comunque si tratta di un primo positivo risultato anche per il carrello della spesa tricolore con cui il governo ha cercato di dare una risposta alle famiglie con i redditi più bassi.

 

Gli stessi a cui ha strizzato l’occhio anche con la Legge di Bilancio, dimenticando però la vera classe media. Quella che ha capacità di spesa e che, se non fosse schiacciata dalle tasse, potrebbe far ripartire i consumi, quindi il Pil e il lavoro con un effetto positivo per tutti. Il leader dello stormo dei falchi della Bce, il tedesco Joachim Nagel che guida anche da Bundesbank, ieri ha detto che l’inflazione in Europa non è ancora sconfitta e di tenere i tassi alti. Questa, pensa chi scrive, è al contrario l’ultima occasione che ha l’Europa per fregarsene delle cassandre e far ripartire la sua economia.

 

Sarà la sfida di Piero Cipollone che succede nel board dell’Eurotower a Fabio Panetta, a sua volta neo governatore di Banca d’Italia al posto di Ignazio Visco. Quest’ultimo si è congedato ieri ricordando al governo insieme all’urgenza di fare le riforme, che se è vero che da un lato l’Italia ha un debito pubblico monstre dall’altro può contare su famiglie e imprese al vertice in Europa per quanto riguarda il livello di indebitamento. Ma non basta, perchè le imprese del made in Italy stanno andando al tappeto, mandate ko proprio da un costo del denaro impossibile da sostenere se vogliono investire per crescere e diventare più competitive sui mercati esteri.

 

 

 

 

 

 

 

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