Economia

Tasse e pensioni, ecco cosa cambia con la Manovra. Stangata sulle sigarette?

Taglio all’Irpef ma solo per i redditi bassi e arriva quota 104. Saliranno le accise sul tabacco

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva anticipato che la Manovra avrebbe comportato “scelte difficili” e così è stato. Tra l’aumento dei tassi della Bce che sta strozzando la ripresa e il ritorno rigorista sui negoziati in corso per il nuovo Patto di Stabilità lo spazio di Bilancio è molto stretto, anche perchè la sola conferma del taglio del cuneo fiscale assorbe 10 miliardi sui circa 24 della Legge Finanziaria, a cui si aggiungono più o meno 4 miliardi per i costi della riforma dell’Irpef. Vediamo che cosa accade alle tasse e alle nostre pensioni.

 

La linea guida del governo Meloni è quella di lasciare più soldi in busta paga chi guadagna di meno, gli stessi per i quali è  stato pensato il Carrello della Spesa tricolore anti inflazione. Da qui, oltre al taglio del cuneo che resta pari a 7 punti fino a 25mila euro di reddito e 6 punti fino a 35mila euro, bisogna partire per capire la logica della rimodulazione dell’Irpef. Gli scaglioni passano infatti dagli attuali quattro a tre, accorpando i primi due: cancellata l’aliquota al 25%, dal 2024 resteranno quindi in vigore solamente:

  • 23% per i redditi fino a 28mila euro;
  • 35% per i redditi tra 28mila e 50mila euro;
  • 43% per i redditi oltre i 50mila euro.

 

Complessivamente la riforma Irpef interessa circa 25 milioni di contribuenti, ma che cosa comporterà in concreto? Includendo anche il taglio del cuneo fiscale, il Tesoro stima un beneficio in busta paga per chi ha un lavoro dipendente fino a 1.298 euro all’anno. Ma solo per i redditi medio bassi, perchè oltre i 50mila euro di guadagno scatta una franchigia di 260 euro sulle detrazioni fiscali che di fatto sterilizza il beneficio. Quanto alla sola nuova curva dell’Irpef si calcola che lavoratori e pensionati dovrebbero avere un vantaggio fino a 260 euro all’anno sempre entro i 50mila euro di reddito.

 

Passiamo ora alle pensioni. Anche se non si può dire che sia stata ufficialmente rottamata Quota 103, di fatto è così. O meglio, la Manovra pianta paletti più stretti per chi va in pensione in anticipo rispetto a quella di vecchiaia che resta fissata a 67 anni di età. In sostanza il requisito anagrafico sale da 62 a 63 anni, lasciando inalterato quello dei 41 anni di contributi. L’esito finale sarà, quindi, una Quota 104 “flessibile”, con incentivi per chi resta in fabbrica o in ufficio legati al bonus Maroni. Stop anche a Opzione Donna, che confluisce nell’Ape sociale anche in questo caso in nome della flessibilità. I requisiti saranno 63 anni di età e 36 di contributi con l’intervento di un Fondo specifico che favorirà l’uscita dal mondo del lavoro di invalidi, disoccupati,  care-giver o di chi svolge un lavoro gravoso.

 

Per trovare i soldi per finanziare la Manovra, che comunque resta per una bella fetta a debito, il governo ha imposto ai suoi ministeri tagli lineari al 5%, sono i risparmi che Giorgetti ha definito “schiaffoni”. Il resto verrà incassato nel più classico dei modi: aumentando ancora  l’accisa sulle sigarette, che resta il vero bancomat dello Stato, salvo poi spendere miliardi in Sanità per curare le malattie connesse al fumo. Un importante contributo, in prospettiva, sarà poi assicurato dalle privatizzazioni, a partire dal Monte dei Paschi che dovrebbe essere venduto tutto o almeno in parte entro la fine del prossimo anno.

 

 

 

 

 

 

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