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Auto elettrica: la Cina in prima fila

Economia / Futuro

Gli ultimi mesi del 2022 sono stati caratterizzati da un infinito dibattito che ha coinvolto tutti i media e destato l’interesse di gran parte della popolazione mondiale residente in aree industrializzate, mi riferisco allo shakespeariano dilemma sull’opportunità o meno di forzare il passaggio alla mobilità elettrica.

 

Ed il 2023 non poteva che iniziare con lo stesso quesito, nonostante l’improvvisa e prematura approvazione da parte della UE che imporrebbe uno stop alla commercializzazione di auto con motori a benzina e diesel a far data dal 1° gennaio 2035; ciò spingerebbe tutte le aziende interessate ad iniziare a programmare, già da oggi, inteso come presente, la conversione del mondo automotive (ed indotti vari) al fine di adeguarsi alle nuove regole.

 

Il condizionale è d’obbligo, come si usa dire, soprattutto in virtù delle accese polemiche e malumori, nonché timori per le inesorabili conseguenze in termini di occupazione e sopravvivenza delle aziende stesse che questa decisione comporta.

Oltretutto, è stato ampiamente (già!) dimostrato che la mobilità elettrica non conviene ai consumatori, non tutela l’ambiente, anzi il contrario, e danneggia l’apparato industriale Occidentale a vantaggio degli attuali padroni del mondo, ovvero i cinesi.

 

Il processo di produzione di un’auto elettrica parte, ovviamente dalle materie prime (cosiddette terre rare) la cui estrazione danneggia e deturpa l’assetto della natura a tal punto che per estrarre un solo chilo di Gallio (Ga) occorrono 50 tonnellate di roccia, per un chilo di Lutezio (Lu) addirittura 200 con conseguente dispendio di milioni di litri di acqua ed una mole di energia di gran lunga superiore se paragonata ai processi produttivi attuali.

 

Ma la notizia più sconvolgente, se confermata, secondo lo stesso studio dell’Università della California, è che la transizione all’elettrico comporterà, per i prossimi 30 anni, un’estrazione di minerali superiore a quanto fatto in tutto il pianeta negli ultimi 70.000 anni! Senza mettere in conto, inoltre, lo smaltimento degli acidi e dei residui da lavorazione che contribuiranno ad innalzare i livelli di inquinamento anziché tendere ad azzerarli.

 

È evidente che non è una scelta green bensì un must economico imposto dalla Cina, altrimenti cosa se ne farebbe di circa l’80% di tutti i siti di terre rare del pianeta acquisiti durante gli ultimi 5 anni? Qualcuno si è mai chiesto perché, nonostante molti studi USA dimostrino che la strada intrapresa sia dannosa per ambiente ed occupazione, il Governo a stelle e strisce continua a sostenerne le ragioni?

È chiaro e lampante che in gioco vi sono interessi che forzano USA e Cina ad essere nemici-amici e ad applicare tra loro la politica del do ut des.

Tutto appare trasparente, infatti, usando la logica tanto cara agli antichi greci; è sufficiente comprendere quali siano le priorità (leggi interessi) degli americani e quali quelle cinesi.

 

È tutto concatenato come in un domino dal quale dipende il futuro industriale del pianeta.

La prima questione sul tavolo è Taiwan, l’interesse primario USA è che non cada sotto il controllo della Cina (che ne ha già stabilito l’annessione); quale seconda priorità il Governo di Biden ha posto il ridimensionamento della Russia ed il suo isolamento dall’Europa, non solo per una questione politico-strategica ma soprattutto per avere campo libero in un mercato ambìto che è quello europeo.

 

Dall’altro lato la Cina ha posto come priorità il controllo del pianeta e, soprattutto, i profitti attesi dopo aver investito cifre inimmaginabili per acquisire in tutto il mondo i siti ricchi di terre rare.

Considerando, pertanto, che il coltello dalla parte del manico lo ha Xi Jinpng, ecco lo scambio … gli USA chiudono un occhio sull’annessione di Taiwan e la Cina ne chiude un altro sul conflitto Russo-Ucraino (sebbene sia solida alleata di Putin); conseguenza di ciò sarà campo libero agli USA in Europa (ed Ucraina) e campo libero della Cina in Russia con l’imposizione, appunto, della transizione elettrica.

 

E l’Europa, come sempre, sta alla finestra in attesa di indicazioni da oltreoceano.

 

Ma esiste un imprevisto che potrebbe smantellare il castello ed è l’idrogeno che ha dalla sua innumerevoli vantaggi rispetto allo scempio che si prevede per l’elecrtified world perché è facilmente ottenibile senza sconvolgimenti di alcun genere e ad emissioni zero nel reale senso del termine, ed è l’anticamera del sogno di tutti, l’auto ad acqua che, per la cronaca, sarebbe già stata inventata ma repressa per tutelare gli interessi dei giganti.

 

Si pensi al mastodontico yacht Aqua, prodotto dalla olandese Sinot, un mostro da oltre 100 metri in grado di attraversare l’oceano con un solo pieno di idrogeno scaricando a mare soltanto acqua e null’altro.

La reale rivoluzione green sarebbe proprio questa ed il pericolo è che resterà appannaggio di pochi anziché essere un beneficio per tutti perché i costi di manutenzione ed i consumi di un’auto alimentata ad idrogeno sarebbero quasi nulli.

 

Di contro, da un esperimento del Sole 24 Ore, è stato dimostrato che andare da Napoli a Milano con un’auto elettrica costa 30 euro in più (60 A/R) impiegando due ore in più (4 A/R); naturalmente non è questa dimostrazione che smonta l’impalcatura sulla quale si pretende di erigere la transizione all’elettrico volendo per forza convincere le masse che è un bene per l’ambiente.

Non lo è affatto, è semplicemente il frutto di accordi tra lobbies e governi che si ricattano tra loro al fine di mantenere l’equilibrio nel mondo … pace sarebbe una parola troppo grossa e legherebbe mani e piedi le due super-potenze, equilibrio è un termine più vago che si presta a mille interpretazioni.

Antonino Papa, 1 marzo 2023

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