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La balla dei sovranisti che si ammalano

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Il mainstream media ci fornisce una narrazione faziosa nel correlare la propagazione del virus ai modelli di governo. Il contagio di Donald Trump è stato celebrato come un contrappasso dantesco, la corrispondenza della positività al virus alla presunta colpa di aver negato la pandemia.

Covid, la Cina ha taciuto

Trump è stato il primo, diversamente dall’omologazione del conformismo comunicativo, a qualificare il coronavirus come il morbo cinese offrendo un contributo di verità che altri hanno dissimulato per non alterare lo schema di una narrazione ipocrita che tace sulle gravi responsabilità del regime comunista in merito alla privazione di trasparenza informativa e alla repressione delle voci di denuncia sull’esordio epidemico. Se la Cina avesse con immediatezza divulgato informazioni utili sul virus, che si è generato al suo interno, i governi nazionali avrebbero potuto prepararsi per contenerne la propagazione. Invece, le omissioni informative hanno reso le popolazioni vittime della deflagrazione virale con i governi impreparati ad organizzare tempestivamente un’efficace reazione sanitaria.

Ma per i cantori del politicamente corretto le uniche colpe da solfeggiare sono quelle dei sovranisti che contagiandosi hanno accertato la loro vulnerabilità grazie al virus. Così è stato per Johnson, Bolsonaro, Trump e a leggere i commenti dei fustigatori unidirezionali si coglie l’inconfessabile gratitudine al Covid per aver punito l’odiato sovranista descritto dal furore ideologico come negazionista. Può essere definito negazionista il presidente della più grande potenza mondiale che riconosce al virus una paternità? Identificare il virus come cinese è un concorso di verità e una dichiarazione che non nega la sussistenza del germe, semmai ne riconosce anche l’origine.

Progressisti vs Negazionisti

I progressisti nostrani, che all’esordio dell’epidemia derubricavano il virus ad influenza stagionale, invitavano ad abbracciare un cinese e sponsorizzavano aperitivi senza protezione sui navigli di Milano, in quale categoria vanno inquadrati? Le loro erano plateali sfide al virus tanto che ne negavano la nocività. Ma su Nicola Zingaretti, il sindaco meneghino Giuseppe Sala e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori è calato l’oblio complice del mainstream. Conviviamo con una informazione ambivalente che attribuisce il marchio diffamatorio del negazionista a chi ha il coraggio, come Trump, di appellare il virus con una radice di provenienza («il virus cinese»), mentre su coloro che negavano con teatrale provocazione il virus sta agendo l’elogio mediatico.

Chi utilizza il virus per demonizzare il contagiato, etichettato come sovranista, è un fattucchiere dell’informazione che si affida al microbo malefico per esorcizzare il nemico di turno identificato come il male. Nel ragionamento “ad minchiam”, di chi si autoritrae come erudito, l’agente patogeno assume la funzione del vaccino propagandistico antisovranista. A Zingaretti, a Sileri, alla Ascani, alla Lorenzin e al direttore de La Stampa Giannini, che hanno vissuto e vivono l’esperienza del contagio, nessuno si è avventurato nello stabilire un nesso tra la sventura dell’infezione e le loro idee. Criticare la gestione dell’emergenza non equivale ad assumere orientamenti negazionisti e generare tale insensata equazione significa tentare di soffocare il dissenso con lo stigma infamante del revisionista sanitario che nega la veridicità del Covid.

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