Esteri

La sinistra tedesca silura Rackete. Può sempre riciclarsi nel Pd

La candidatura all’Europarlamento della “Capitana” spacca la Linke. Ma non è una sorpresa

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Perché sotto qualunque cielo la sinistra è condannata a dividersi in forme laceranti e per lo più cruente? Proprio per la miscela micidiale di pseudoscienza e di religione propria del marxismo primigenio, per quel carattere apocalittico, sciamanico, ma opinabile, che non smette di impregnare le sottoideologie che di esso si nutrono, dal climatismo al sanitarismo oppressivo. Proletari di tutto il mondo, unitevi! Ma non smetteranno mai di scindersi, di parlarsi senza comprendersi in una Nemesi infinita che oggi sceglie la Germania come teatro.

Ancora una volta la partita è tra gli ortodossi, tra il marxismo classico se mai ce n’è stato uno, e gli sconfinamenti insofferenti e turbolenti dei movimentisti e dei casinisti che i partiti marxisti ufficiali faticano a tenere a bada. Qualcosa che ricorda le deviazioni, con annesse scomuniche, degli anni Settanta dal movimentismo e il sovversivismo italiano, negriano, alla nouvelle gauche francese, fino alla Raf tedesca che si “dialettizzava” con le BR nostrane più che col marxismo socialdemocratico tedesco della drammatica ricostruzione democratica. In Germania la proposta di candidare al Parlamento europeo la capitana in rasta Rackete incontra forti dubbi, veti incrociati, ricatti. I soliti personalismi meschini, certo, il solito leaderismo calcolatore penoso, le gelosie e i fanatismi, ma anche un residuo senso di realtà: già siamo messi male, con questa ragazzina esaltata dove andiamo?

Il dibattito in seno alla Linke, quanto a dire un distillato di marxismo teutonico, è spietato. Volano accuse, classiche anche queste, di ottusità politica, come la chiama il parlamentare linkiano Klaus Ernst, il quale fa notare: questa Rackete non è neanche iscritta, e, appena ventilata, fa subito una conferenza stampa dove dice cose incompatibili con la linea del partito. Il collega Alexander Urlich va oltre e parla di “spavento per i nostri elettori e colossale regalo per l’ultra-destra”; e, al di là del fazionismo da accerchiati tipico dei comunisti, per i quali tutto ciò che non è dei loro è ultra-fascismo e nazismo, non ha tutti i torti. Non bastasse, cova, e come sbagliarsi, la fronda in seno a Linke, ormai ridotto a proporzioni da sottopartito italiano, con la capa scissionista Sahra Wagenknecht che minaccia di fondare un movimento suo per uscire dall’impasse che la vede contrapporsi alla linea ufficiale, più morbida, più possibilista, se abbiamo capito – già, perché in questo melodramma di articolazioni e di divisioni non manca, non può mancare neppure la distanza tra la parte occidentale, legata bene o male alle ragioni e ai compromessi e alle contraddizioni di Bruxelles, e l’Est tuttora legato a suggestioni da cortina di ferro: Wagenknecht è critica sul sostegno all’Ucraina, una putiniana di ferro che rincorre miti sovietici e anche sulle politiche migranti non si ritrova: in coerenza con il marxismo reale che diffida delle troppe e troppo disordinate commistioni, che l’unità politica la predicava nel segno della classe ma non certo dell’etnia.

La Germania, malamente intesa come una nazione, di granitica stupida uniformità, è veramente una Matrioska di fratture, la sua storia maledetta la precede e la condiziona, la condizionerà per sempre, ma la questione può valere in senso più generale. Più globale. Le Rackete, come le Schlein, non sanno molto del marxismo cui sostengono di ispirarsi e quel poco di masticato è sublimato ad atteggiamento, mera posa, un marxismo influencer. Trattasi di signore benestanti e la loro condizione di ereditiere, figlie della generazione Z o Web, le distanzia da una sensibilità operaista, alla Mario Tronti, per citare un nume tutelare appena scomparso, comunque dall’atavico orrore, ipocrita ma convinto, del capitalismo. Perché come fa una giovane cresciuta nella bambagia a odiare la vita che le spetta, fatta di privilegi e di radiose contraddizioni consumistiche? Da cui un senso di colpa materno per i disagiati, che nella scomparsa della classe operaia il teorico globale ma padovano Toni Negri gli ha insegnato a ritrovare nei migranti. Ma più come sfida esistenziale, vitalistica, che per schietta urgenza teorica, ideologica: non ne avrebbero comunque gli strumenti, nei centri sociali in cui si sono formate, di analitico c’è niente, ogni tradizione è evaporata, resta solo uno sballo estetico e irresponsabile, deresponsabilizzato.

Le pesantezze, le rigidità dell’idealismo germanico, il Fichte che ammonisce, “l’uomo è ciò che deve, se dice non posso è segno che non vuole”, non appartengono a questa generazione narcisa come non gli appartiene l’ateismo religioso di Feuerbach che trova il Dio nell’immanenza dell’altro e così facendo apre la strada all’umanesimo rivoluzionario di Marx. Di sovversivo, di santamente eretico c’è poco, c’è se mai il personalismo feroce in nome del comunitarismo paraculo. O per lo meno così vengono visti da quelli del sinedrio comunista.

Carola Rackete proposta all’Europarlamento per prima cosa chiama i media e sciorina le sue verità acerbe, immature, scandalose per la sinistra bigotta e polverosa di Linke che a sua volta non sa dove andare, si consuma tra risacche ideologiche e fughe in avanti senza direzione. Sembra tutto un gran casino di distinguo speciosi, di sofismi teorici, e magari lo è, ma la sostanza è che la pasionaria marinara, la “kapitana” con le treccione giamaicane in patria non la vogliono. I neopostcomunisti globali come Carola Rackete, come Patrick Zaki, ai loro paesi non li vogliono, islamici o marxisti che siano. Non gli resta che prendere cittadinanza italiana e passare per il corpaccione del Pd che, senza più neppure l’ambizione di una identità, fagocita tutto, digerisce tutto. Preferibilmente al Twiga.

Max Del Papa, 11 agosto 2023

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