Già, ma perché chiamarsi Papa Leone XIV? Finché non sarà lo stesso Prevost a spiegarlo con chiarezza, tutti non hanno potuto che pensare ad una continuità cercata con Leone XIII, il Pontefice che scrisse la “Rerum Novarum“, l’enciclica che è diventata uno dei capisaldi della dottrina sociale della Chiesa. L’ha confermato anche Matteo Bruni, direttore dalla Sala Stampa della Santa Sede, secondo cui il nome scelto dal cardinale una volta eletto Sommo Pontefice “è un chiamo richiamo” al suo predecessore. “Chiaramente è un riferimento non casuale agli uomini e alle donne, al loro lavoro, anche in tempi di Intelligenza Artificiale”, ha evidenziato Bruni.
A confermarlo è stato anche il cardinale Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado a Hrt, la Radio Televisione Croata. “Il suo nome è il suo programma“, ha detto Nemet alla giornalista Angela Jelicic Krajcar. “È molto interessante, ha detto che vuole dare più attenzione alle questioni di ordine sociale nel mondo, come alle questioni di giustizia. Ha detto anche che siamo dentro una nuova rivoluzione: ai tempi di Leone XIII era in corso una rivoluzione industriale, adesso è in corso la rivoluzione digitale. Oggi come ai tempi di Leone XIII c’è il problema dei posti di lavoro – perché la digitalizzazione porta ad una diminuzione di mano d’opera necessarie per il lavoro. E poi c’è un fatto storico: Leone XIII quando era giovane veniva spesso in una parrocchia guidata da padri agostiniani a Roma. Noi cardinali, scherzando, abbiamo trovato un’altra spiegazione: finora c’era Francesco che parlava coi lupi. Adesso abbiamo un Leone, che caccerà i lupi”.
Il dettaglio ha ovviamente eccitato e non poco gli animi, soprattutto quelli progressisti. Leone XIII era chiamato infatti il “Papa dei lavoratori” o “Papa sociale”: al secolo Vincenzo Gioacchino Pecci, pontefice dal 1878 al 1903, impresse alla Chiesa una visione sociale e politica, lavorando sia nella Germania di Bismarck che nella Francia laicista per riavvicinare i cattolici a Roma. Ma fu anche il Papa che con l’enciclica “Immortale Dei” del 1885 negò il conflitto tra scienza e religione (Prevost è un matematico) e che con la Rerum Novarum, appunto, fondò la moderna Dottrina sociale della Chiesa. La quale, è vero, aprì il Vaticano alla questione dei diritti dei lavoratori, “la questione operaia”, motivo per cui nacquero sindacati, associazioni e partiti cattolici, ma che non fu affatto un’enciclica “socialista”. Anzi. Era la risposta alle spinte rivoluzionarie che stavano infettando la classe operaia creando disgregazione sociale e numerosi conflitti. Era una terza via cristiana al liberismo capitalista e al socialismo rivoluzionario, sia contro lo sfruttamento sia contro la lotta di classe. Leone XIII condannò la “cupidigia dei padroni”, la “sfrenata concorrenza” e additò il “piccolissimo numero di straricchi” che “hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un gioco poco meno che servile”, ma ribadì un principio intoccabile: la proprietà privata va considerata come un “diritto naturale”.
Basta andare a leggere il paragrafo sul “socialismo falso rimedio”. “A rimedio di questi disordini, i socialisti, attizzando nei poveri l’odio ai ricchi, pretendono si debba abolire la proprietà, e far di tutti i particolari patrimoni un patrimonio comune, da amministrarsi per mezzo del municipio e dello stato – si legge – Con questa trasformazione della proprietà da personale in collettiva, e con l’eguale distribuzione degli utili e degli agi tra i cittadini, credono che il male sia radicalmente riparato. Ma questa via, non che risolvere le contese, non fa che danneggiare gli stessi operai, ed è inoltre ingiusta per molti motivi, giacché manomette i diritti dei legittimi proprietari, altera le competenze degli uffici dello Stato, e scompiglia tutto l’ordine sociale”. La proprietà, infatti, per Leone XIII non è altro che un’altra forma del salario che il lavoratore investe in altra forma. Dunque i socialisti “togliendo all’operaio la libertà di investire le proprie mercedi, gli rapiscono il diritto e la speranza di trarre vantaggio dal patrimonio domestico e di migliorare il proprio stato, e ne rendono perciò più infelice la condizione”.
La svolta di Leone XIII non si fermò ovviamente lì. A definire meglio la Dottrina sociale della Chiesa furono poi i successori con la “Quadragesimo Anno” di Pio XI (1931), la “Mater et Magistra” di Giovanni XXIII (1961), la “Populorum progressio” di Paolo VI (1967), la “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II (1991).
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