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L’Europa vuole tassare la prima casa - Seconda parte

Ma c’è un’altra osservazione da fare. Anche ammesso che la tesi Ocse-Fmi-Ue sulle tasse buone (sugli immobili) e le tasse cattive (le altre) fosse fondata, possibile non porsi il problema di un limite? Lo sa, la Commissione, che fino al 2011 l’imposta patrimoniale sugli immobili (Ici) pesava per 9 miliardi l’anno e quella attuale (l’Imu) ne vale 22? Questi dati non hanno un senso per la dirigenza europea (ammesso che siano loro la fonte della spinta a tassare di più gli immobili e non ci sia un effetto ping pong con l’Italia)?

Del tutto inaccettabile, poi, è l’affermazione secondo la quale “l’utilizzo delle entrate supplementari per ridurre le imposte sul lavoro migliorerebbe gli effetti distributivi e aumenterebbe gli incentivi al lavoro, sostenendo la crescita economica”. In primo luogo, come avviene sempre in questi casi, mentre l’aumento delle tasse sulla casa sarebbe certo, la riduzione di quelle sul “lavoro” sarebbe ipotetico. In secondo luogo, siamo alle solite: invece di pensare a ridurre le tasse, si suggerisce di spostarle. E non è questa la strada da seguire per ridare slancio a un’economia in crisi come quella italiana.

Giorgio Spaziani Testa, 17 ottobre 2020

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