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L’Ucraina, la crisi del gas e il masochismo italiano

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Ieri il presidente Mario Draghi ha tenuto un discorso, in Parlamento, davvero convincente. In quelle che, non senza retorica, alcuni definiscono le ore più buie. Il premier italiano ha cercato, con freddezza, di far capire come illuminarle queste ore. Insomma, è intervenuto sulla questione fondamentale riguardante la nostra indipendenza energetica.

Intanto, occorre notare la straordinaria incapacità della nostra classe politica di comprendere per tempo i veri problemi della nostra economia. La crisi Ucraina non è nata con le prime bombe di Putin, ma esiste da decenni. Da tempo si parla dell’enorme rischio che correvamo non solo nel dipendere per il 40 per cento dal gas russo, ma anche del fatto che esso passasse proprio per l’Ucraina. Oggi è vittima di un’aggressione, ieri si diceva che manomettesse i tubi che attraverso il suo territorino trasportavano il gas dalle nostre parti. I primi gasdotti con la Russia furono realizzati negli anni 70 quando era sovietica e le nostre centrali per produrre energia elettrica bruciavano ancora petrolio.

Da quegli anni non abbiamo fatto più nulla se non sostituire il petrolio con il gas e aumentare la nostra dipendenza dall’estero e, in particolare, dalla Russia. L’ultimo tubo di una certa rilevanza lo abbiamo costruito in Puglia (la Tap). Sinistra e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo lo hanno avversato in tutti i modi. C’è poco da stracciarsi le vesti oggi. È lo stesso humus culturale antisviluppista, che ha fatto scappare l’alternativa dei rigassificatori (dove il gas liquefatto che arriva per nave viene riportato al suo stato gassoso): basti pensare a quello di Brindisi. Nel frattempo ci siamo compiaciuti dei miliardi (12 ogni anno, nelle bollette degli italiani) immessi nelle energie rinnovabili: tanto utili, che alla prima tensione internazionale non hanno contributo a calmierare un accidente e tanto meno a renderci indipendenti.

Draghi ha svelato questo bluff. Troppa burocrazia ed è necessario una neutralità tecnologica: se serve si usi pure il carbone. Un Paese ancora molto industriale come il nostro ha necessità di elettricità come le famiglie chiedono il pane.

Lunedì scorso un imprenditore, Alberto Balocco, si è presentato a Quarta Repubblica svelando una piccola storia che ha del clamoroso. La sua bolletta per fare dolci è salita a duecentomila euro al mese: e ciò non rappresenta evidentemente un unicum. Ciò che è incredibile è che la sua azienda, a quattro chilometri dalla fabbrica, ha già pronto da ottobre un impianto fotovoltaico (di quelli moderni, senza alcun incentivo pubblico) che gli potrebbe fornire la preziosa energia elettrica che gli serve. Ebbene sono mesi che aspetta l’allacciamento. Cioè un cavo (per il quale peraltro ha già pagato i relativi oneri) che colleghi l’impianto ai contatori in fabbrica: la rete è satura e dunque non si può fare. Quattro mesi per posare un cavo alternativo alla rete esistente non sono stati sufficienti. Come l’azienda di Balocco ci sono richieste di allacciamento non andate in porto in tutta Italia. Il fotovoltaico non può sostituire, almeno nel breve periodo, i combustibili i fossili, ma se continuiamo con questa burocrazia non li potrà sostituire mai.

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