Politica

La sfida alle Ong

“Scatta il sequestro delle navi”: il piano del governo per fermare le Ong

Piantedosi al lavoro su un nuovo “codice di condotta” per le navi umanitarie. Pressioni sull’Europa per l’Africa

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Il quadro più chiaro lo si avrà forse mercoledì, quando il ministro dell’Interno è chiamato a riferire alle Camere sul braccio di ferro con le Ong e la Francia. Intanto, però, il nuovo provvedimento del governo contro l’immigrazione incontrollata pare prendere forma. Ne rivela alcuni dettagli il Corriere della Sera, secondo cui la mossa di Matteo Piantedosi dovrebbe essere quella di imporre un nuovo codice di condotta alle navi umanitarie per costringerle a dimostrare di aver salvato barconi in effettivo stato di naufragio, pena multe salate, divieto di approdo in Italia e sequestro amministrativo delle imbarcazioni.

La mossa anti-Ong

Sia Giorgia Meloni che i suoi ministri sono stati chiari: l’Italia ha sempre salvato e continuerà a salvare i migranti a rischio naufragio nel Mediterraneo quando entrano in zona Sar (search and rescue) italiana. Ma non intende farsi carico di tutti gli irregolari caricati da navi private battenti bandiera straniera. La linea è quella di far passare in Europa il principio secondo cui il Belpaese non è l’unico porto di sbarco vicino (ci sono Malta, la Tunisia, volendo anche la Corsica), ma soprattutto non è compito italiano farsi carico delle richieste di asilo. Domande di protezione che dovrebbero essere fatte a bordo della navi, essendo “isole in mezzo al mare” sotto la responsabilità dello Stato di cui la nave batte bandiera.

Finora questo principio non è mai stato accolto dagli altri Stati europei. Basti pensare che la Francia prima della Ocean Viking non aveva mai assegnato un porto ad alcuna Ong. E che la Germania allegramente finanzia con fondi pubblici, varati dal Bundestag, navi private che poi scaricano immigrati sul suolo italiano. Per questo, anche per spingere le Ong a dirigere la loro prua altrove, Piantedosi sta ragionando ad un nuovo codice di condotta che le costringa ad operare sotto lo stretto controllo dei Paesi del Sud, come richiesto nella nota firmata da Malta, Cipro, Italia e Grecia.

Il codice di condotta

Lo schema somiglia a quello messo a punto da Marco Minniti: per entrare in acque italiane, scrive il Corsera, le Ong dovranno aver sottoscritto un documento altrimenti nisba. La regola primaria sarà quella di dover dimostrare di essere intervenuti solo quando esiste un effettivo rischio naufragio per i migranti. Inoltre bisognerà avvertire le autorità del Paese più vicino per comunicare quale tipo di intervento si sta effettuando. L’idea è quella di scoraggiare le partenze, più che i salvataggi: un documento riservato di Frontex ha chiarito che la presenza davanti alle coste libiche delle navi Ong spinge i migranti a tentare la traversata. Quando non ci sono, molti rinunciano a salpare.

Divieto di approdo

In caso di mancato rispetto del codice di condotta, ecco che il governo potrebbe apporre un divieto di ingresso in acque territoriali. Se poi le Ong dovessero forzare la mano, come accadde con Carola Rackete, scatterebbero le varie sanzioni amministrative: multe oppure sequestro dell’imbarcazione. Mettere a punto un codice di condotta renderebbe il tutto “automatico”: non servirebbero insomma decreti ad hoc né contestazioni penali. In fondo, una delle poche preoccupazioni delle Ong è quella di perdere il “possesso” della nave. Blocchi amministrativi, tra ricorsi e controricorsi, possono durare molto a lungo: vedasi il caso Sea Watch 3 o Iuventa, ancora ferme nei porti italiani da mesi. E trovare un’altra nave, anche ad avere i fondi necessari, per le Ong non è mai compito semplice.

Il piano per l’Africa

Sull’altro fronte, bisognerà poi affrontare anche il nodo “diplomatico”. Su due direttive: dal lato europeo, oggi Antonio Tajani sarà al consiglio europeo dei ministri degli esteri e si parlerà anche di migranti e Ong; dall’altro il governo intende rispolverare gli accordi bilaterali con i paesi di partenza, Libia, Tunisia, Marocco, Niger e Nigeria. Il tutto in attesa che l’Europa, fallimentare sui ricollocamenti, si decida col varare quello che Meloni chiama il “piano Mattei per l’Africa”. Niente più e niente meno di quanto la Germania è riuscita a far digerire all’Ue per la Turchia: finanziare il Sultano Erdogan (quello che nega la sedia a Ursula von der Leyen) con 6 miliardi di euro per bloccare le frontiere della rotta balcanica che aveva portato milioni di persone a Berlino. Se Bruxelles è riuscita a fermare quel flusso, perché non ripetere lo schema anche in Libia?