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Scorta alla Segre, silenzio sui giornalisti colpiti dalla fatwa islamica

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La notizia del giorno è che, purtroppo, in seguito alle minacce via web e allo striscione di Forza Nuova esposto nel corso di un appuntamento pubblico a cui partecipava a Milano, il prefetto Renato Saccone ha deciso di assegnare la scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, ex deportata ad Auschwitz. Cosa che la costringerà ad avere due carabinieri che la accompagneranno in ogni suo spostamento. Questa decisione, che è stata presa durante il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza tenutosi ieri, è scaturita, come dicevamo, da uno striscione esposto da Forza Nuova, ma è anche figlia degli insulti e minacce ricevuti via web dalla Senatrice sui quali la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta contro ignoti.

Per non lasciare nulla al caso, le indagini sono state affidate a dei veri professionisti, e cioè al Dipartimento dell’Antiterrorismo. La Senatrice a Vita è da tempo sotto i riflettori per alcune sue posizioni, e l’apice è stato toccato in occasione della contestata votazione sull’istituzione della Commissione contro l’Odio, che porta il suo nome, dove il centrodestra si è astenuto. Si è parlato di insulti, circa duecento al giorno, e le persone per bene sanno che l’imbecillità di certa gente, oltre a lasciare il tempo che trova e ad essere fine a sé stessa, non ha colore politico ed è una miscela di imbecillità, ignoranza e violenza, potenzialmente pericolosa che deve essere stroncata dalla legge con tolleranza zero.

Se il Prefetto ha deciso per la scorta avrà avuto i suoi buoni motivi, ma sarebbe utile capire perché questa decisione arriva solo ora, dopo la votazione, e non era stata presa prima visto che la Commissione dell’Odio è stata pensata e votata proprio alla luce degli insulti reiterati che la Senatrice Segre stava ricevendo e aveva ricevuto già da parecchio tempo. Sarebbe utile capirlo anche per chiarire la situazione prima che il sospetto, anche legittimo, che questa decisione possa essere stata condizionata da pressioni politiche, diventi un’onda anomala e motivo di ulteriori scontri, sia in Parlamento che fra la gente comune. Questo perché strillare in Prima Pagina la pessima notizia della scorta all’indomani dell’astensione del centrodestra potrebbe unire sia in maniera subliminale sia apertamente, qualcuno già lo fa, le due vicende e dà la sensazione che una sia la conseguenza dell’altra. Cosa non vera.

Non c’è dubbio che ci siano stati insulti, lo striscione di Forza Nuova non è che un esempio che quella stessa miscela di imbecillità di cui parlavo prima, arrivi da una larga parte dell’estrema destra, ma siamo sicuri che tutti gli insulti ricevuti dalla Senatrice arrivino da un’unica sorgente? Per par conditio e per onestà intellettuale sarebbe il caso, al fine di non strumentalizzare politicamente una decisione del prefetto, di rendere pubblica la percentuale di insulti che sono arrivati anche dall’estrema sinistra. Questo per dimostrare che i partiti che si sono astenuti durante la votazione non hanno nulla a che fare con questa mancanza nei confronti delle regole della democrazia e del buon senso, per arginare il fango che in queste ore troppa stampa, partendo dalla decisione sulla scorta sta gettando a badilate contro l’avversario politico esasperando ulteriormente gli animi, e anche per dimostrare che la mamma degli imbecilli è sempre incinta e li fa di tutti i colori, sia Rossi che Neri.

Rimanendo nel campo della violenza, che può assumere diverse connotazioni, sarebbe stato bello che lo stesso rilievo e la stessa levata di scudi fosse stata riservata anche alla notizia, a quanto mi risulta riportata solo da Il Giornale, spero di sbagliare, che in Turchia siano stati messi all’indice giornali, libri e politici italiani in una pubblicazione finanziata con fondi dell’Unione europea. La stessa Europa, una volta resasi conto che quanto pubblicato altro non era che una sorta di lista di proscrizione delle idee e dei personaggi scomodi al regime di Erdogan, si è nascosta dietro a un laconico: “I contenuti sono di esclusiva responsabilità degli autori delle relazioni nazionali e non riflettono necessariamente le opinioni dell’Unione Europea e del Ministero degli Affari Esteri – Direttorato degli Affari europei”. Ma anche se il Ministero è quello turco sul documento ci sono però anche i loghi di un programma di dialogo euro-turco. Ponzio Pilato sarebbe stato meno bravo a lavarsi le mani.

Il voluminoso rapporto del Seta, Fondazione con sede ad Ankara con stretti rapporti con il governo guidato da Recep Erdogan, in oltre 840 pagine passa in rassegna 34 Paesi, analizzando la situazione politica, mediatica e giuridica. Praticamente il dittatore turco si permette di fare le pulci ai governi di altre 34 nazioni che sicuramente hanno più a cuore dell’odierna Turchia la libertà in tutte le sue forme e il rispetto di tutte le minoranze, ma non è tutto, perché nel mirino dello studio ci sono anche i media occidentali. Ad esempio è sintomatica la definizione: “articoli aggressivi della tradizionale stampa di destra” e vengono citati tra gli altri Il Giornale, La Verità, Il Tempo, Il Foglio e Libero, e anche i nomi di alcuni giornalisti.

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