Politica

Settimana corta, Landini è come i fascisti

La proposta del leader Cgil di lavorare meno è ancora una volta utopia

Maurizio Landini, il compagno Landini, il cigiellista Landini, l’aspirante presidente della Camera piddino Landini, è come un fascista: la sua riproposta della settimana cortissima, di 4 giorni, si pone nel solco del più spietato, brutale, irragionevole sfruttamento capitalistico ad esclusivo beneficio del padronato fascista: è noto, infatti, che qualsiasi attività del proletario finisce in plusvalore che rappresenta un lucro per chi esercita in modo spietato, senza amore, il diritto di proprietà: che, invece, andrebbe abolito.

La battaglia del compagno Landini

Se il compagno Mau avesse davvero voluto recuperare la gloriosa tradizione comunista, avrebbe semplicemente dovuto azzerare il “lavoro di merda”, come si diceva ai tempi degli Autonomi di Negri (avviso per debunker e algoritmi: fu un glorioso pensatore nell’alone del terrorismo, nessun attacco al BLM) nel solco del poderoso rilancio della rivoluzione proletaria in un quadro di adeguamento a quelle che sono le istanze di una società veramente senza sfruttati né sfruttatori, senza lavoro, che ha per orizzonte diritti non più procrastinabili quali: il gender, lo smalto nei maschi di tre anni, i Ferragnez, i Pride, Greta, no oil, no tav, no a tutti i fascismi, no pasaran, no al 41bis, Cospito libero, fuori i compagni dalle galere, più Ong per tutti in modo da avere miriadi di altri nullafacenti da mantenere, non si capisce come.

Quelli del reddito di cittadinanza

Purtroppo anche i duri e puri finiscono prede del revisionismo socialdemocratico, ha ragione la preside Savino, siamo proprio alla vigilia di un nuovo ’22. Il compagno Mau, il descamisado che passeggiava con Draghi, se n’è, evidentemente, lasciato contagiare, anzi infettare: lavori, ti stanchi, muori. Meglio la settimana zero, a reddito di cittadinanza, a bonus, meglio andare a rubare, tutto è preferibile a questo apparente microfallo operativo che resta nel solco del “pienamente operativo” di meneghina filosofia. Perché è una trappola. Perché non funziona. Perché hanno un bel teorizzare, pontificare, vaneggiare i socialcomunisti statalisti: meno uno lavora ufficialmente in rosso, più si trova lavori paralleli in nero. La storia in particolare italiana è questa, gli italiani in fama di pigri sono in effetti gente che dopo un po’ si rompe i coglioni ad oziare, è storia recente di un’effervescenza di attività sommerse, occulte per modo di dire, elusive, con cui il paese bombardato è salito fino ad essere la terza economia mondiale e ha tirato avanti fino ai Novanta, all’introduzione dell’euro maledetto, alla finanza truffaldina, al capitale senza capitale, al divanismo grillesco.

Erano i tempi della grande transizione democratica dopo il Fascismo e nell’Italia emiliana e rossa prendeva piede un capitalismo gestito dai comunisti che chiudevano gli occhi sul padronato dei padroncini a patto che fossero iscritti al partito; in pubblico si denunziavano le “Coree” della metropoli, en privée tutti d’accordo sugli scantinati, i sotterranei, le camere adibite a fabbriche nucleari nello sferragliare dei magliai di Carpi, degli scarpari di Fermo, degli atelier improvvisati di Napoli, dei laboratori tessili di Firenze o di maioliche di Faenza e così via. Marx, per il momento, lo lasciamo lì sul muro, dicevano i comunisti sposando la religione della settimana doppia, non 7 giorni su 7 ma 14, giornate di 48 ore, un lavorar da bestie cinese ma nell’entusiasmo della grande cornucopia, nella convinzione che ce ne sarebbe stato per tutti, che sarebbe andato bene per sempre.

“Lavorare meno è lavorare tutti”

Bastava leggere l’Italia del Miracolo di Giorgio Bocca, che andava sui coglioni a tutti, capitalisti, comunisti e socialcapitalisti che stavano nella via di mezzo. Ma le cose stavano come le raccontava lui. Landini di queste cose è poco pratico, lui pensa ancora, o finge di credere, che lavorare meno è lavorare tutti, che ricercare e sviluppare non siano l’unico modo per stare a galla nell’economia globale, che conviene lasciarsi colonizzare dalla Cina, che meno produci e più hai da “restribuire”, ovverosia da requisire, per meglio assegnarlo ai clientes. Che poi è l’essenza del marxismo teorico senza star lì a sciropparsi tutti quei tomi sconclusionati, il socialismo onirico dello sfaccendato Karl che, se non l’avessero educorato, perché già allora c’era la cancel culture come per i libri di Dahl o James Bond, voleva dire: “La mattina farsi le pippe, il pomeriggio le canne, la sera andare al centro sociale, dopo pranzo rompere i coglioni sui social, così come mi vien voglia”. Dalla settimana Incom alla settimana Leonka. Con simili premesse, c’era da stupirsi se la parabola virava inesorabilmente dal materialismo storico allo scetticismo storico, dal socialismo scientifico al socialismo utopistico, dal profetismo al pragmatismo, cioè non ci ho capito niente, non mi resta che far fuori i padroni?

Ma il vecchio Marx era uno che abusava in modo padronale della serva (che, come diceva Totò, serve), e ne scaricava il frutto della colpa in manicomio, uno che andava in bestia se i suoceri non si decidevano a crepare lasciando l’eredità alla moglie, quindi a lui. Insomma un protogrillino, il trisavolo di tutti i 5 Stelle. Da cui la famosa vulgata sul marxismo né scientifico né scettico ma opportunistico: “compagno, tu lavori e io magno”.

Ricetta rossa: dimezzare la produzione

Per Landini si risolve tutto dimezzando la produzione e magicamente redistribuendone i frutti (agli iscritti al Pd-Cgil); che poi uno potrebbe anche giustamente osservare: però non va bene neanche questa corsa demente al lavoro come unica religione, al “pienamente operativo acca 24” che finisce nell’infarto: d’accordo, ma il punto è lasciar liberi gli uomini di regolarsi come gli pare. Se uno vuole stare vita natural durante al tavolino del bar, aspettando Conte e dicendogli quando lo vede “Se mi dai da mangiar, ti dico babbo”, e un altro preferisce divertirsi creando, sono scelte, anche culturali, che debbono restare libere e delle quali uno si assume le conseguenze. Io, per esempio, per un libro inchiesta ho incontrato tanti imprenditori veneti, del famigerato nordest, e mi dicevano: “Io, per me, vado in capannone anche a Natale e son felice”. E avendo chiesto a uno già avviato chi glielo faceva fare di comperare un nuovo gigantesco spazio per ingrandire l’azienda, mi sentivo rispondere: parché gh’avemo duecento famiglie e parché qui se sta ben anca a far festa insieme”.

Adesso ci pensa Schlein

Ma queste, sia chiaro, sono le esaltazioni di chi tira la carretta e fa il bene suo, della sua azienda, della comunità, del paese; la ricetta giusta è quella opposta, lavorare meno, combinare un cazzo: e poi mungere la tetta pubblica, ovviamente con più tasse, spremute non si capisce come, dove. Per questo il federal Landini, dietro la scorza del sindacalista intransigente, la t-shirt bianca da lavoratore che spunta da sotto la camicia, è un collaborazionista della finanza globale dei panfili, lui vuole lo sfruttamento dei lavoratori chiamati a lavorare addirittura 4 giorni su 7. Ah, ma adesso ci pensa Elly Schlein, ci pensa Mattia Cerchietto (il figlio del geom. Calboni), ci pensano le Sardine che senza aver mai lavorato un minuto in vita si ritrovano a meno di 40 sull’autoblu che porta al Nazareno. Due su seimila ce la fanno, gli altri pesci lessi rientrino nel branco, che poi lo stato penserà, forse, anche a loro, a patto che non si mettano in testa di voler lavorare su serio, che queste son follie da sindacalista cigiellino, mica da cittadino responsabile.

Max Del Papa, 1° marzo 2023

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