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Voglio un 2020 senza “Bella Ciao”

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Se il 2019 ha avuto una colonna sonora, è stata sicuramente la patinata “Bella Ciao“. L’hanno cantata in tutti i salotti che piacciono a quelli che piacciono. L’hanno intonata nelle piazze dei nuovi rivoluzionari, nelle trasmissioni dei vecchi intellettuali, i socialisti al parlamento europeo l’hanno sculettata, qualcuno l’ha sentita persino fischiettare da qualche giovane calciatore della Serie A. È la canzone che fa sognare la sinistra ed è il simbolo – inventato, perché in tanti in questi anni hanno dimostrato che si tratta di uno spartito molto più recente – di quella Resistenza che altro non fu che la guerra civile tra fascisti e comunisti.

Quella che a scuola ci hanno fatto studiare come la “Liberazione” – la parolina magica inventata per nascondere il sangue che scorreva a fiotti nel triangolo rosso della morte e in Istria, e non solo. Un escamotage per ingannare la memoria storica, per far dimenticare la sconfitta militare e l’idea stessa di una guerra civile. I manuali scolastici sono diventati un coacervo di fatti diventati “per antonomasia”: il fascista era il male in sé e l’antitesi, il bene, il partigiano italiano. La Resistenza e la Liberazione dovevano avere per forza una canzone romantica come colonna sonora, e la storia rieditata ha scelto “Bella Ciao” per occultare le stragi comuniste dei partigiani lungo la Penisola e il sangue offerto sull’altare dell’Unione Sovietica. Perché il Comitato di Liberazione Nazionale doveva far uscire l’Italia dalla guerra come una democrazia popolare schierata con l’Urss.

La mano omicida comunista colpì in tutta Italia, dalla Val d’Aosta al Friuli, fino alla Calabria. Le vittime hanno avuto tutte una caratteristica comune: sacerdoti, suore, seminaristi colpevoli di essere i preti di domani, ricchi, possidenti, liberali. Tutti uccisi due volte: la prima volta dai partigiani, la seconda volta dall’oblio. La furia comunista non era alimentata da alcuna esigenza militare, ma solo dall’odio ideologico. E uccideva, prelevava e mai i corpi sono stati ritrovati in alcuni casi, in altri seppelliti senza funerale, fatti fuori su sospetti spacciati per motivi politici. Una crudeltà cieca che andava nascosta perché l’immagine del partito comunista, avanguardia della lotta stessa, andava tutelata.

“Pure i partigiani avevano ucciso persone innocenti e inermi sulla base di semplici sospetti, spesso infondati, o sotto la spinta di un cieco odio ideologico. Avevano provocato le rappresaglie dei tedeschi, sparando e poi fuggendo. Avevano torturato i fascisti catturati prima di sopprimerli. E quando si trattava di donne, si erano concessi il lusso di tutte le soldataglie: lo stupro, spesso di gruppo.” Scriverà Pansa in La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti. In un’altra occasione Pansa chiarirà anche, “nel 1944, Montefiorino, in provincia di Modena, contava novemila abitanti. Con i quattro comuni confinanti si arrivava a trentamila persone. L’area venne abbandonata dai tedeschi e i partigiani delle Garibaldi vi entrarono il 17 giugno. La repubblica durò sino al 31 luglio, appena 45 giorni. Fu un trionfo di bandiere rosse, con decine di scritte murali che inneggiavano a Stalin e all’Unione Sovietica. Vi dominava l’indisciplina più totale.

Al vertice c’era il Commissariato politico, composto soltanto da comunisti. Il caos ebbe anche un lato oscuro: le carceri per i fascisti, le torture, le esecuzioni di militari repubblicani e di civili. Ma nessuno si preoccupava di difendere la repubblica. Infatti i tedeschi la riconquistarono con facilità”.  Ne Il sangue dei vinti racconta anche di mio zio, il marito della sorella di mia nonna, fucilato dai partigiani mentre mia zia si vide un fucile puntato sul grembo gravido. La colpa? Chissà!? Una Resistenza fatta di “tangenti a quelli considerati possidenti per chiedere una contribuzione forzata per il partito, una tangente mascherata sotto minaccia di morte”, dirà Gianfranco Stella intervistato da Andrea Zambrano per il suo Compagno mitra. E c’è anche un’altra macchia sul curriculum di quel momento storico, quella denunciata dallo storico Luca Tadolini, “perché la Resistenza italiana tacque quasi completamente sull’Olocausto che si stava consumando negli anni della II Guerra Mondiale?”.

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