Economia

Lo strano caso del parco eolico galleggiante “Dorada”

Nel golfo di Taranto il più grande parco eolico offshore galleggiante. Ma più di qualcosa non convince: dall’impatto ambientale all’azienda proponente

eolico offshore

La notizia è di quelle da leccarsi i baffi: come riportava “La Gazzetta del Mezzogiorno” lo scorso 7 settembre, nel golfo di Taranto, al largo della costa jonica tra i comuni di Manduria, Maruggio e Torricella in provincia di Taranto e di altri 13 comuni in provincia di Lecce, da Porto Cesareo fino a Castrignano del Capo, potrebbe essere costruito nei prossimi anni il più grande parco eolico offshore galleggiante del mondo.

Il progetto “Dorada”

Il progetto è stato battezzato “Dorada” e si compone di 108 turbine eoliche Vestas V236, l’ultima nata della casa danese, suddivise in due aree: la prima, detta “Parco Nord” costituita da 36 turbine, nelle acque territoriali di fronte ai comuni tarantini di Manduria, Maruggio e Torricella, a una distanza dalla costa tra le 6,5 e le 12 miglia nautiche, con fondali fino a 450 metri; la seconda, detta “Parco Sud”, costituita dalle rimanenti 72 turbine, in quelle di fronte ai 13 comuni leccesi, sempre in un’area compresa tra le 6,5 e le 12 miglia nautiche dalla costa e fondali analoghi a quelli di Parco Nord.

Le V236 della Vestas che verranno installate sono turbine eoliche da 15 MW di potenza nominale, con torre alta 150 metri e diametro rotore di 236 metri, le cui sagome si ergeranno quindi per 150 + 118 = 268 metri sul livello del mare. Il parco eolico avrà una potenza nominale installata di 1,62 GW, con produzione annua attesa di 4,874 TWh.

Ma la vera novità del progetto è che, a causa della profondità dei fondali, ciascuna delle 108 turbine eoliche sarà installata su una piattaforma galleggiante ancorata al fondo per mezzo di quattro linee di ormeggio, aspetto che rende il progetto un unicum al mondo.

Il progetto si completa poi con un cavidotto sottomarino che raccoglierà l’energia prodotta da tutte le 108 macchine e approderà sulla terraferma nel comune di Maruggio; da lì proseguirà per circa 40 chilometri in un cavidotto interrato che attraverserà i comuni tarantini di Torricella, Lizzano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, Monteiasi e Grottaglie e si collegherà alla rete di trasmissione nazionale presso la stazione elettrica “Taranto Nord” gestita da Terna nel comune di Taranto.

Aspetti economici

L’importo stimato del progetto è 4,78 miliardi di euro. L’azienda titolare del progetto è la Helios Energy S.r.l. di Potenza, facente capo al “Gruppo Macchia”, un gruppo di piccole imprese capeggiate dal patron Donato Macchia, neo presidente del Potenza Calcio.

Il Gruppo Macchia ha all’attivo finora un’unica esperienza in campo eolico: la costruzione di una wind farm da 49 MW nominali a Melfi (PZ) realizzata con macchine Vestas. Un’altra wind farm da 51,75 MW, sempre con macchine Vestas, è attualmente in fase di costruzione e si svilupperà nei territori dei comuni potentini di Avigliano, Bella e Ruoti.

Con ogni probabilità, il progetto si avvarrà della sinergia con lo stabilimento Vestas Blades di Taranto per la produzione delle pale. Come infatti riportava “Il Quotidiano di Puglia” lo scorso 11 gennaio, è in pieno svolgimento l’attrezzaggio dello stabilimento per la produzione delle pale V236 Vestas con la costruzione delle prime tre pale nel 2023, ciascuna delle quali richiederà all’inizio un mese di lavoro. Pertanto, anche ipotizzando una “learning curve” che abbatta significativamente i tempi di lavorazione, il parco eolico “Dorada” garantirebbe lavoro a pieno regime allo stabilimento Vestas Blades di Taranto per i prossimi anni, con previsioni rosee di incremento della forza lavoro.

Quanto all’energia che sarà prodotta a regime dal parco eolico, si vocifera anche che essa possa essere utilizzata in futuro dalla limitrofa Acciaierie d’Italia di Taranto per la sua riconversione alla produzione di acciaio verde, anche se questo richiederebbe lo smantellamento degli altiforni e la loro sostituzione con un numero congruo di forni elettrici ad arco, con investimenti dell’ordine di svariati miliardi di euro: un’idea che, per il momento, resta solo nella mente di chi l’ha concepita.

Il progetto presenta, infine, indubbie ricadute positive sul territorio costituite dalle sinergie con il tessuto imprenditoriale locale, le infrastrutture portuali di Taranto e le conseguenti positive ricadute occupazionali per i territori interessati dai lavori e per la Vestas Blades Taranto.

Istruttoria autorizzativa

Il progetto è stato presentato lo scorso aprile al Ministero per l’ambiente e la sicurezza energetica (MASE) per l’istruttoria autorizzativa. L’iter del parco al momento è nella prima fase della Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Lo scorso maggio il Ministero della cultura, l’Arpa Puglia e il Comune di Taranto hanno fornito le loro osservazioni al progetto. Infine, lo scorso agosto, anche il MASE ha richiesto una serie di studi e approfondimenti cui l’azienda proponente dovrà dar seguito nel suo studio di impatto ambientale nei prossimi 12-18 mesi.

Gli aspetti da approfondire spaziano dai chiarimenti tecnici a quelli socio-economici, per finire a quelli ambientali. Tra questi ultimi vi sono, ad esempio, l’impatto del parco eolico sulla biodiversità marina e sulle specie di uccelli migratori di passaggio, l’impatto che il cavidotto interrato potrebbe generare sul Parco delle Dune di Campomarino (TA) e sul Parco Naturale Regionale del Mar Piccolo di Taranto, entrambi attraversati dagli scavi.

Infine, il MASE richiede misure di mitigazione del progetto e di compensazione delle comunità locali, con l’invito al loro ascolto qualora non sia possibile mitigare gli interventi. Fin qui i dati salienti del progetto e i suoi aspetti positivi, vediamo adesso le ombre che, purtroppo, non sono poche.

Le ombre

Cominciamo la nostra analisi partendo ovviamente dall’elemento fondamentale: la turbina eolica V236. La prima di queste turbine è stata installata dalla Vestas sulla terraferma meno di un anno fa, a dicembre 2022, nel campo prova eolico di Østerild nella penisola dello Jutland in Danimarca, ma è stata messa in funzione solo tre mesi fa, a giugno 2023: un periodo di tempo troppo breve per poterne valutare pregi e difetti, testata soltanto per ora durante i mesi estivi che, notoriamente, sono i più clementi per le turbine eoliche.

Ma il fatto che desta ancor più preoccupazione è che Vestas, che pure è azienda leader mondiale nel settore e che in passato ha raggiunto e consolidato la sua leadership grazie alla sua politica dei piccoli passi, abbia deciso oggi di fare un balzo in avanti spaventoso, passando d’un colpo solo dalla sua turbina di punta, la V172 – 7,2 MW nominali alla V236 che ne raddoppia di fatto la potenza nominale e ne accresce di molto le dimensioni. A detta di chi vi scrive, un salto nel buio troppo grande persino per Vestas.

Ad aumentare le preoccupazioni, i recentissimi guai di Siemens Energy che, a giugno scorso, hanno fatto registrare un crollo delle azioni della divisione eolica della multinazionale tedesca a causa di problemi di affidabilità di alcuni dei componenti chiave della serie 5X delle turbine Siemens Gamesa le cui turbine raggiungono potenze nominali di 7 MW, sia in installazioni onshore che offshore, che stanno costringendo la società a costosissimi revamping in sito.

Naturalmente parliamo di un’altra società ma questa débâcle dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme molto serio per tutto il settore.

Problemi dell’eolico galleggiante

Cosa differenzia una turbina eolica installata su una fondazione solida, sia essa una fondazione in calcestruzzo sulla terraferma o uno dei tipi di fondazione solida offshore (monopile, tripode o jacket), da una turbina installata invece su una piattaforma offshore galleggiante? Il fatto che, per la prima, l’incastro della torre si può supporre infinitamente rigido e, quindi, il comportamento dinamico della macchina, incluse le sue frequenze caratteristiche, dipende unicamente dalla configurazione geometrica e dall’aerodinamica del rotore.

Per una turbina installata su piattaforma offshore galleggiante, invece, l’incastro della torre è per definizione cedevole; questo comporta che la dinamica della macchina, incluse le sue frequenze caratteristiche, dipende fortemente da una combinazione di molteplici fattori: la geometria della macchina combinata con quella della piattaforma e con le catenarie delle linee di ormeggio, la combinazione tra l’aerodinamica del rotore e l’idrodinamica della piattaforma, la forza elastica esercitata delle catenarie degli ormeggi e, dulcis in fundo, dal moto ondoso.

Poiché sia l’aerodinamica che l’idrodinamica sono fenomeni fortemente non lineari, per essi non vale il principio di sovrapposizione degli effetti, cioè non è possibile studiare separatamente l’effetto del vento e quello delle onde e poi sommare insieme i due contributi. Pertanto, come potete immaginare, il comportamento risultante è tremendamente complesso e per studiarlo occorrono sofisticati modelli di calcolo che implementino tutte insieme le equazioni fondamentali del moto del sistema “turbina + piattaforma + linee di ormeggio + spinta idrostatica + aero-idro-dinamica” e che diano la possibilità di simulare tutte le casistiche possibili di vento e di moto ondoso non solo in regime laminare ma anche e soprattutto in regime turbolento (si pensi, ad esempio, ai casi di burrasca e a quanto ne consegue in termini di carichi su linee di ormeggio, piattaforma, torre, navicella e pale).

Morale della favola: per imbarcarsi – è proprio il caso di dirlo! – in un progetto simile occorrono notevoli competenze ed esperienze sia nel settore eolico che in quello marittimo che non si possono improvvisare. Diversamente, l’intera operazione assume i connotati di un’impresa suicida.

Per darvi una pietra di paragone, oggi il parco eolico offshore galleggiante più grande del mondo è il progetto Hywind Tampen localizzato a 76 miglia nautiche dalla costa occidentale norvegese e composto da 11 turbine Hywind da 8 MW ciascuna, per un totale di 88 MW nominali. Tuttavia, le turbine Hywind sono concepite in maniera del tutto differente, essendo esse stesse dotate di un sistema galleggiante che si conclude con un contrappeso inferiore sommerso molto profondo che ne aumenta notevolmente la stabilità.

Inoltre, esse sono frutto di 15 anni di sperimentazioni e dimostrazioni, dal momento che il primo esemplare fu finanziato dalla Commissione Europea nel lontano 2008. Infine, la profondità media del fondale è 300 metri, un terzo in meno di quella in cui opererebbe il parco “Dorada”, con quanto ne consegue in termini di minor lunghezza delle linee di ormeggio e, quindi, di maggiore stabilità delle macchine.

Panorama deturpato

Ai problemi tecnologici si aggiunge un ulteriore aspetto che, finora, stranamente non è stato oggetto di alcuna osservazione né da parte del MASE, né da parte del Ministero della cultura, né dalle amministrazioni locali coinvolte: una sagoma che si erge dal livello del mare per 268 metri come le turbine in questione resta visibile dalla costa, ad altezza uomo, fino a una distanza di 34 miglia marine.

Ciò vuol dire che il parco eolico sarà ben visibile lungo tutta la costa salentina, da Torre Ovo (TA) fino a Castrignano del Capo (LE). In altre parole, il panorama di uno dei litorali più belli e pittoreschi d’Italia verrebbe irrimediabilmente deturpato, con conseguenze disastrose sul turismo. Perché non vi sia alcun impatto visivo occorrerebbe che il parco venga traslato a 34 miglia dalla costa, in acque internazionali.

Impatto su pesca e navigazione

Con i suoi 458 km2 di estensione complessiva, rappresentanti, vuoto per pieno, il 50 per cento delle acque territoriali relative ai tratti di costa interessata, il parco eolico offshore “Dorada” creerebbe fortissime limitazioni alla pesca per le comunità locali e alla navigazione, sia militare che commerciale che da diporto, dal momento che, per ragioni di sicurezza, non sarebbe possibile navigare all’interno delle aree occupate dalle turbine se non per motivi di manutenzione delle stesse, tenendo conto del fatto che, per loro natura, le posizioni delle piattaforme variano col moto ondoso.

Poiché i tratti costieri in questione sono fortemente antropizzati, desta stupore che nessuno degli enti preposti di cui sopra abbia sollevato osservazioni in merito a tali limitazioni.

L’azienda proponente

Ultima ma non meno importante, un’osservazione sulle capacità tecniche e finanziarie della Helios Energy S.r.l., il soggetto proponente.

Chi vi scrive è un convinto sostenitore della vivacità e intraprendenza del tessuto delle PMI italiane che rappresentano da sempre la reale ossatura produttiva industriale italiana e, checché se ne dica, i principali propulsori per l’innovazione tecnologica. Pertanto, è fuori discussione che anche una piccola azienda come la Helios Energy S.r.l. possa avere le potenzialità per realizzare grandi cose.

Tuttavia, una semplice ricerca su Google (terzo risultato) mette in evidenza che nel 2021 questa società avesse un capitale sociale di 10.000 euro e 0 dipendenti. Ovviamente, da allora sono trascorsi due anni e magari nel frattempo la società è cresciuta ad un ritmo vertiginoso, cosa che ci auguriamo con tutto il cuore.

Tuttavia, siamo comunque sicuri che tutte le competenze tecniche di cui abbiamo delineato i dettagli più sopra siano nel loro pieno controllo? In altre parole, se anche come capofila di un gruppo di aziende esperte ciascuna in un particolare settore progettuale e realizzativo, siamo sicuri che la Helios Energy S.r.l. abbia al suo interno le competenze giuste per gestire e coordinare tutte queste professionalità?

Quanto alla capacità finanziaria, siamo sicuri che una piccola società come la Helios Energy S.r.l. sia in grado di attrarre finanziamenti per 4,78 miliardi di euro?

Intendiamoci: se si trattasse di un progetto che non coinvolgesse beni pubblici (i 458 km2 di acque territoriali) e non richiedesse opere impattanti sul territorio (gli scavi del cavidotto interrato), né richiedesse fondi pubblici per la sua realizzazione, ogni imprenditore avrebbe piena facoltà di rischiare i propri capitali come meglio ritiene. Tuttavia, poiché c’è di mezzo il bene pubblico e uno dei litorali più belli d’Italia, riteniamo che la questione vada opportunamente approfondita nelle sedi competenti.

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