Esteri

Biden-Xi/1: disgelo solo di facciata sullo sfondo della crisi cinese

Pacche sulle spalle e retorica buonista (“al mondo c’è posto per entrambi”), ma le politiche aggressive cinesi e il contenimento Usa proseguiranno

Biden Xi Jinping

Nonostante una buona dose di irenismo messa in campo da entrambi i leader, il vertice tra Joe Biden e Xi Jinping a San Francisco non cambierà di molto i pessimi rapporti tra le due potenze. I cinesi continueranno a praticare una politica aggressiva non solo verso gli Stati Uniti, ma anche nei confronti dei Paesi più piccoli collocati nello scacchiere dell’Estremo Oriente, sul quale Pechino intende esercitare la propria egemonia.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, non si fidano affatto dei comunisti cinesi, e ancor più da quando Xi Jinping ha accentuato la svolta marxista-leninista del Paese atteggiandosi a “nuovo Mao”. Tutto questo nonostante suo padre fosse stato pesantemente perseguitato dalla Guardie Rosse maoiste, e lui stesso, in gioventù, sia stato costretto dal Partito a interrompere gli studi e spedito a svolgere lavori manuali per “rieducarsi” (termine caro a Mao Zedong e ai suoi seguaci).

La crisi cinese

Per capire perché Xi abbia accettato di recarsi negli Usa dopo un lunghissimo periodo di isolamento (ufficialmente dovuto al Covid), è però necessario parlare della crisi economica della Repubblica Popolare. Che è reale, a dispetto della propaganda ufficiale del Partito comunista, e della sua negazione da parte dei tanti filo-cinesi nostrani.

È un dato di fatto che Xi, quando è giunto al potere, abbia trovato un quadro economico positivo e in espansione, con un Pil che continuava a crescere anno dopo anno. Aveva fama di uomo pragmatico, e sorprese invece tutti quando, una volta consolidata la sua posizione al vertice, ha iniziato a privilegiare l’ideologia rispetto all’economia, di fatto cancellando le riforme promosse da Deng Xiaoping alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, e mantenute dai suoi successori.

Pur in presenza di una censura che definire ferrea è dir poco, si sa che i “grandi vecchi” del Partito gli rimproverano l’impoverimento del Paese. Loro che, in precedenza, erano ascoltati e consultati costantemente, mentre Xi li ha del tutto emarginati affidandosi soltanto ai fedelissimi di cui ha riempito il Politburo. La situazione, però, rischia di andare fuori controllo.

Per il sesto mese consecutivo l’economia cinese registra una diminuzione significativa delle esportazioni, mentre c’è stato un inatteso aumento dell’import. Di qui la necessità di trovare un nuovo modello di crescita giacché, in un periodo come questo, caratterizzato da grande instabilità, confidare soltanto sulla crescita dell’export è molto pericoloso. Xi e i suoi avevano puntato sull’aumento della domanda interna, il che non è avvenuto a causa dei bassi livelli di salari e pensioni. E il leader ha pure emarginato tutti i tycoons – a partire da Jack Ma – che con le loro idee innovative avevano generato il successo del Paese.

A rischio la pace sociale

Il guaio per il Partito è che la pace sociale nel Paese si basa su un patto non scritto, secondo il quale i cittadini obbediscono in cambio della crescita economica continua e del miglioramento delle loro condizioni di vita. Se ciò viene meno, non è fantapolitica ipotizzare che i cittadini possano ribellarsi. Del resto proteste e rivolte sparse ci sono già state, anche se è difficile liberarsi da una censura senza limiti che avvolge come un sudario l’intera nazione.

Nel frattempo, le aziende straniere, e soprattutto quelle americane, continuano a spostarsi in Paesi con costi e dazi minori, per esempio Vietnam e India. La “normalizzazione” comunista ha pure rovinato Hong Kong, il cui ruolo di hub economico e commerciale sta ormai passando alla città-Stato di Singapore. Senza dubbio l’aggressività commerciale Usa, varata da Donald Trump e poi mantenuta da Biden, ha contribuito in misura notevole all’attuale crisi cinese.

In questa ottica va visto l’incontro di Xi Jinping con i vertici di una trentina dei più importanti fondi di investimento e compagnie multinazionali Usa.

In gioco la supremazia

Per concludere, Biden e Xi possono anche darsi pacche sulle spalle in nome della loro vecchia amicizia personale, e dire alla stampa che “al mondo c’è posto per entrambi”. Ma entrambe le potenze puntano alla supremazia, e se Xi non abbandonerà i suoi pregiudizi ideologici neocomunisti, è possibile (e auspicabile, ovviamente) che gli Usa vincano la partita smentendo i profeti del loro declino.

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