Esteri

Bola Tinubu prende in mano una Nigeria impoverita e violenta

Corruzione dilagante, ormai “uno stile di vita”, e violenza incontrastata. Ma la sua stabilità è essenziale sia dal punto di vista demografico e sociale che energetico

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Bola Tinubu è il 17esimo presidente della Nigeria, il quinto da quando nel 1999 il Paese si è lasciato alle spalle 30 anni di colpi di stato militari e di dittature. Eletto il 25 febbraio insieme al vice presidente da lui scelto, Kashim Shettima, ha assunto la carica ufficialmente il 29 maggio, dopo mesi di azioni legali da parte dei candidati sconfitti che fino all’ultimo hanno contestato l’esito del voto denunciando irregolarità e brogli.

Corruzione stile di vita

Ancora il 26 maggio la Corte Suprema si è pronunciata contro la richiesta del Peoples Democratic Party di dichiarare illegale la candidatura alla vice presidenza di Shettima e quindi invalidare le elezioni.

Tinubu ha 71 anni, è miliardario. Accusato di corruzione e traffici illegali, in particolare di droga, si difende dicendo di aver investito bene i suoi risparmi. Non che gli altri principali candidati alla presidenza, Atiku Abubakar e Peter Obi, fossero modelli di trasparenza. D’altra parte, la corruzione in Nigeria pervade tutti gli ambiti della vita economica, politica e sociale, è praticata a tutti i livelli, tanto che è diventato comune dire che ormai è “uno stile di vita”.

Il padrino di Lagos

Il soprannome di Tinubu è “Il Padrino di Lagos”, meritato per il sistema clientelare, familistico con cui esercita il suo potere nel sud ovest del Paese e ha governato per molti anni Lagos, l’ex capitale, che con 21 milioni di abitanti è la città più grande della Nigeria. Il suo slogan elettorale era “It’s my turn”, “tocca a me”.

I sostenitori degli altri candidati aggiungevano schernendolo “… to eat”, “mangiare”, richiamando “It’s our turn to eat”, il titolo del libro nel quale la giornalista Michela Wrong ha descritto nel 2009 la scalata alla presidenza in Kenya, altro Stato africano in cui la corruzione è “stile di vita”.

Nigeria impoverita e divisa

Adesso tocca a Tinubu governare e provare a porre rimedio alla situazione che lui stesso, insieme a tanti altri leader politici, ha contribuito a creare: un Paese impoverito, in preda alla violenza, diviso più che mai lungo linee etniche e religiose.

La Nigeria è il primo produttore africano di petrolio, che ha incominciato ad estrarre negli anni sessanta del secolo scorso, e, con un Pil di 504 miliardi di dollari, è la prima economia del continente (precede Egitto e Sudafrica). Tuttavia il 62,9 per cento dei nigeriani – quasi 133 milioni – vive in condizioni di povertà e non ha sufficiente accesso alle infrastrutture e ai servizi di base.

Il 43 per cento della popolazione non dispone di luce elettrica, un record mondiale. Di tutti i bambini del mondo che non vanno a scuola, uno su cinque è nigeriano: quasi il 40 per cento dei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni, con percentuali più elevate nel nord.

Il Pil è aumentato del 3,4 per cento nel 2021 e del 3,1 per cento nel 2022, tuttavia i principali indicatori economici sono negativi. Nel 2022 l’inflazione è salita al 22 per cento con incrementi dal 26 al 41 per cento per quel che riguarda i generi alimentari e altri prodotti di uso comune.

La disoccupazione nel 2022 ha raggiunto il 33 per cento e nei giovani tra 15 e 24 anni sale al 50 per cento. Il debito pubblico nel 2023 potrebbe superare i 172 miliardi di dollari. C’è il rischio di default, come è già successo al Ghana e allo Zambia. Per evitarlo negli ultimi anni il governo è ricorso a ripetuti prestiti da parte di Banca Mondiale e Fmi, il più recente dei quali pari a cinque miliardi di dollari.

Ladri di petrolio

La produzione di petrolio diminuisce da oltre dieci anni: dai 29 milioni di barili estratti al giorno nel 2011 è scesa a 14 milioni. L’attività estrattiva risente degli insufficienti investimenti nel settore e dei frequenti atti di sabotaggio delle strutture. Inoltre, quantità enormi di greggio vengono rubate.

Nel primo trimestre del 2022, ad esempio, solo 132 dei 141 milioni di barili estratti ha raggiunto i terminali da cui il petrolio viene esportato. Nove milioni di barili sono stati rubati. Per di più, le quattro raffinerie del Paese sono da anni mal funzionanti, per incuria, e quindi i nigeriani vendono petrolio, ma acquistano all’estero la maggior parte del carburante di cui hanno bisogno.

Per rendere i prodotti petroliferi importati accessibili alla popolazione il governo interviene con sussidi che però incidono pesantemente sul bilancio statale, a scapito di investimenti indispensabili in infrastrutture e servizi. D’altra parte, ogni aumento del prezzo della benzina fa salire il prezzo anche di generi di prima necessità.

Questo è uno dei problemi che Tinubu dovrà risolvere, che nessuno dei suoi predecessori ha osato affrontare. In suo aiuto arriva la notizia che il miliardario nigeriano Aliko Dangote, l’africano più ricco, ha deciso di costruire una raffineria, la più grande del mondo nel suo genere, in grado di raffinare 650.000 barili di petrolio al giorno, che dovrebbe consentire di soddisfare il fabbisogno energetico nazionale e di esportare combustibili. Il governo contribuirà alle spese per il 20 per cento. L’impianto dovrebbe entrare in funzione nel 2024.

Violenza incontrastata

Garantire condizioni di sicurezza è un obiettivo improrogabile quanto risanare l’economica. Il passaggio alla democrazia, all’inizio del secolo, ha coinciso con l’acuirsi in maniera drammatica delle divisioni che caratterizzano la Nigeria: metà, il nord, musulmano, e metà, il sud, cristiano; nel nord povertà, al sud immensi giacimenti di petrolio; al nord etnie di pastori, al sud etnie di agricoltori, in perenne conflitto nella Middle Belt, i territori centrali in cui sono costrette a convivere.

Il nord est è infestato da due gruppi jihadisti tra i più pericolosi: Boko Haram, affiliato ad al Qaeda, e Iswap, che nel 2016 ha giurato fedeltà all’Isis. Nel sud est sono rinate, violente, le istanze separatiste che tra il 1967 e il 1970 hanno dato origine a una delle guerre civili più sanguinose dell’Africa indipendente, la guerra del Biafra.

Ma la violenza domina pressoché incontrastata ovunque. Negli ultimi cinque anni si sono moltiplicate le bande armate che percorrono il Paese a bordo di motociclette seminando il terrore. Il crimine più frequente è diventato il sequestro a scopo di estorsione.

Il fenomeno nuovo è che i malviventi non prendono più di mira solo persone benestanti per chiedere riscatti milionari, bensì gente comune, in grado di pagare poche decine di migliaia di dollari e anche solo alcune migliaia o centinaia.

Nel marzo del 2022 uomini armati hanno addirittura attaccato il treno che collega la capitale federale, Abuja, a Kaduna, la capitale dell’omonimo stato. Hanno rapito un numero imprecisato di persone, forse più di cento, e ne hanno uccise nove. I 18 agenti a guardia del convoglio hanno tentato di intervenire, ma, visto il numero degli aggressori, si sono dati alla fuga.

Stabilità essenziale

La Nigeria è il Paese africano con più abitanti: 214 milioni (un africano su sette è nigeriano). Anche solo per questo, una sua crisi, inevitabile se non si porrà rimedio, avrebbe ripercussioni economiche e sociali gravissime di portata continentale e più ancora.

La sua stabilità è essenziale, non ultimo, per la realizzazione di un progetto che ci riguarda da vicino. Lo scorso settembre Nigeria, Marocco e Ecowas (la comunità economica dell’Africa occidentale) hanno firmato un accordo per la costruzione di un oleodotto lungo 6.000 chilometri, che attraverserà 13 Stati africani, trasporterà il petrolio nigeriano in Marocco, dove si collegherà al Maghreb Europe Gas Pipeline e alla rete di distribuzione europea. Costerà 25 miliardi di dollari e ci vorranno 25 anni per completarlo.

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